giovedì 27 aprile 2017

1t - 3 - I Fisici pluralisti

Le Slides e la Dispensa























I FISICI PLURALISTI

 La contrapposizione tra i sostenitori del divenire e dell'essere continua anche dopo la morte di Eraclìto, Parmenide e Zenone. Ma accanto a chi sostiene l'una o l'altra tesi, si fa avanti una corrente che ritiene assolutamente necessario un compromesso tra le due posizioni. Si tratta dei cosiddetti “fisici pluralisti”, i quali non costituiscono una vera e propria scuola, ma sono accomunati, appunto, dall'intento di porre fine alla contesa, proponendo, per così dire, una soluzione che possa accontentare entrambe le fazioni. Si chiamano “fisici” in quanto tornano, dopo le “astrazioni” di Eraclìto e Parmenide, ad occuparsi della realtà concreta, fisica appunto, e “pluralisti” poiché sono fermamente convinti che tale realtà non sia formata da una sola sostanza (il Logos di Eraclìto oppure l'essere di Parmenide) ma da una pluralità di elementi.
Ricordiamo che per Parmenide: l’essere è immutabile, eterno, imperituro, immobile, unico e ingenerato. Non può esistere il divenire e la molteplicità, i sensi attestano una pura parvenza, un’illusione. Parmenide ci vuol dire che la via per conoscere la verità è l’uso della sola nostra ragione.
Dall’altro lato però abbiamo visto Eraclìto affermare che: Polemos è padre di tutte le cose per cui gli enti esistono solo nella contesa che impedisce la prevaricazione. La realtà è armonia dei contrari e divenire incessante.
Qui si attesta che anche i sensi rivelano qualcosa di incontrovertibile e innegabile. Lo stesso Parmenide chiama la rivelazione dei sensi pura illusione, ma dandole un nome ne dimostra l’esistenza e quindi, se c’è, fa parte dell’Essere.
Risolvere questo problema ci provano i così detti Fisici pluralisti che affermano: “La Realtà che appare ai sensi esiste, ma è causata da elementi invisibili e incorruttibili che hanno le caratteristiche dell’essere di Parmenide”.  
Parmenide vede la realtà come una monade indivisibile. Per i Fisici questa monade è la causa invisibile di tutto ciò che si muove e che si differenzia. Cioè la realtà è un comporsi ed uno scomporsi di tante particelle che fanno riferimento ad un Uno indissolubile.

La filosofia di Empedocle si presenta come un tentativo di combinazione sintetica delle precedenti dottrine. Dalla filosofia ionica e da quella di Eraclìto egli accoglie l'idea del divenire, del continuo e incessante mutamento delle cose. Da Parmenide, al contrario, accetta la tesi dell'immutabilità e dell'eternità dell'Essere. Empedocle – e come lui anche gli altri fisici pluralisti – cerca di risolvere questa contraddizione distinguendo la realtà che ci circonda, mutevole, dagli elementi primi, immutabili, che la compongono.
Empedocle chiama tali elementi "radici" (rizòmata), e afferma che sono in tutto quattro, associando ognuno di essi a un particolare dio della mitologia greca, sulla base di concezioni orfiche e misteriche proprie dei riti iniziatici allora in uso presso la Sicilia orientale. I quattro elementi (e i rispettivi dèi associati) dunque sono:
L'unione di tali radici determina la nascita delle cose e la loro separazione, la morte. Si tratta perciò di apparenti nascite e apparenti morti, dal momento che l'Essere (le radici) non si crea e non si distrugge, ma è soltanto in continua trasformazione.
Si può perciò considerare il lavoro di Empedocle come una continuità temporale, tra i naturalisti e i sofisti, in cui si cerca di "conservare" le tesi dei precedenti filosofi. Infatti l'immortalità degli elementi può essere considerata come, per l'appunto, l'immortalità dell'essere, mentre il continuo nascere e morire degli aggregati è un richiamo piuttosto evidente al divenire di Eraclìto.
L'aggregazione e la disgregazione delle radici sono determinate dalle due forze cosmiche e divine Amicizia o Amore (φιλóτας - filotas) e Inimicizia o Discordia (νεκος - neikos), secondo un processo ciclico eterno. In una prima fase, tutti gli elementi e le due forze cosmiche sono riunite in un tutto omogeneo, nello Sfero, il regno dove predomina l'Amore. Ad un certo punto, sotto l'azione della Discordia, inizia una progressiva separazione delle radici.
L'azione della Discordia non è ancora distruttiva, dal momento che le si oppone la forza dell'Amore, in un equilibrio variabile che determina la nascita e la morte delle cose, e con esse quindi il nostro mondo. Quando poi la Discordia prende il sopravvento sull'Amore, e ne annulla l'influenza, si giunge al Caos, dove regna la Discordia e dove è la dissoluzione di tutta la materia.
A tal punto il ciclo continua grazie ad un nuovo intervento dell'Amore che riporta il mondo alla condizione intermedia in cui le due forze cosmiche si trovano in nuovo equilibrio che dà nuovamente vita al mondo. Infine, quando l'Amore si impone ancora totalmente sulla Discordia si ritorna alla condizione iniziale dello Sfero. Da qui il ciclo ricomincia il processo che porta alla formazione del mondo e ad una progressiva aggregazione delle radici. Tale unione, ben lontano dall'avere un carattere finalistico, è assolutamente casuale. E tale casualità si evidenzia a proposito degli esseri viventi. All'inizio infatti le radici si uniscono a formare arti e membra separati, che solo in seguito si uniranno, sempre casualmente tra di loro.
Le quattro radici sono anche alla base della gnoseologia di Empedocle (gnoseologia ovvero teoria della conoscenza, filosofia che si occupa dello studio della conoscenza.). Egli infatti sostenne che i processi della percezione sensibile e della conoscenza razionale fossero possibili solo in quanto esisteva una identità di struttura fisica e metafisica tra il soggetto conoscente, ossia l'uomo, e l'oggetto conosciuto, ossia gli enti della natura.
Sia l'uomo che gli enti erano formati da analoghe mescolanze quantitative delle quattro radici ed erano mossi dalle medesime forze attrattive e repulsive. Questa omogeneità rendeva possibile il processo della conoscenza umana, che si basava dunque sul criterio del simile, l'uomo conosceva le cose perché esse erano simili a lui. Infatti così affermò Empedocle: «noi conosciamo la terra con la terra, l'acqua con l’acqua, il fuoco con il fuoco, l'amore con l'amore e l'odio con l'odio».
Importante osservazione su Empedocle è che con lui si stanno affacciando alcuni concetti che daranno poi vita alla “metafisica” per il fatto che vengono introdotte due forze, Amore (eros) e Discordia (eris, odio), che sono esterne ai quattro elementi base in cui si conforma la Physis e che aprono a qualcosa di immateriale che seppur nascosto e impalpabile muove le cose.
Tornando alle onde del mare che nascono e muoiono ma fanno sempre parte del mare che avevamo usato per spiegare la physis, qui appare invece il vento, esterno al mare, che muove le onde o meglio che genera le onde. Da qui i primi concetti di Metafisica (meta physis) cioè al di fuori della Physis. Possiamo anche dire che è da qui che si sviluppa il vero e proprio pensiero occidentale.

Anassagora (Clazomene, 496 a.C. – Lampsaco, 428 a.C circa)
Con Parmenide ammette il principio per cui nulla nasce e nulla perisce, ma in un senso nuovo: nascere significa “riunirsi” e perire significa “separarsi”.
È annoverato tra i fisici pluralisti insieme ad Empedocle e Democrito. Fu il primo filosofo a "importare" la filosofia nella penisola greca, più precisamente ad Atene. Prima di lui la filosofia era diffusa solamente nelle colonie greche dell'Anatolia (in Turchia) e della Magna Grecia (Italia meridionale).
Il pensiero di Anassagora presenta analogie con quello di Empedocle, secondo cui nulla nasce e nulla perisce, ma nascita e morte sono solo termini convenzionalmente utilizzati dagli esseri umani per identificare mescolanza e disgregazione delle parti dell'Essere.
A differenza di Empedocle, Anassagora chiama queste parti semi originari. I semi sono caratterizzati dall'essere di numero infinito, identici tra loro ed infinitamente divisibili; in seguito a questa definizione Aristotele li chiamerà anche omeomerie, cioè parti simili perché hanno gli stessi caratteri del tutto che entrano a costituire e sono divisibili all’infinito. Dal greco “homoiomèreiai” (homoios – simile e méros - parte), che potremmo anche tradurre con “particelle simili”.
L'oro, ad esempio, è costituito in prevalenza da semi d'oro, in esso però ci sono anche, in minor quantità, semi di tutte le altre sostanze. Perciò Anassagora dice tutte le cose sono insieme e tutte le cose sono in ogni cosa. Tutto è in tutto.
 L'unione dei semi dà origine alla materia; essa si differenzia solo in base alla diversa qualità e quantità di semi presenti in essa. Dai semi il filosofo distingue una forza che li fa muovere e li ordina, ed imprime loro l'energia necessaria alla trasformazione (o Divenire Continuo, simile al Ciclo Cosmico di Empedocle). Questa forza è un'intelligenza divina, il Nous, che governa i semi e non appartiene alla materia. Anassagora lo definisce intelletto.
Anassagora quindi chiama “Nous” (Intelletto) la mente ordinatrice dell’universo, ossia la forza che scevera (separa, vaglia e distingue) i semi originariamente confusi nel caos primordiale (migma), permettendo la formazione del nostro mondo.  
Il Nous di Anassagora costituiva però un concetto molto più sofisticato dell'amore-odio di Empedocle; esso, difatti, non aveva più nulla di antropomorfico(cioè legato alla sfera dell’uomo), come invece erano l'odio e l'amore del filosofo di Agrigento. Per averlo ammesso, egli fu lodato da Platone e da Aristotele. Essi riconobbero ad Anassagora il merito di aver introdotto nella spiegazione della natura un principio intelligente che risultava separato dalle cose, anche se gli rimproverarono il fatto di non aver tratto tutte le conseguenze derivanti da una tale ammissione. Anche in età moderna un grande filosofo come Hegel apprezzò il Nous di Anassagora affermando che: con Anassagora si schiude un tutt'altro regno poiché con lui comincia ad apparire un raggio di luce, seppur fioco.
Anassagora infatti concepì tale Nous come un'intelligenza divina che muoveva ed ordinava i semi secondo un disegno razionale. Tutte le trasformazioni, tutti i processi naturali erano governati e finalizzati da questa intelligenza cosmica che determinava l'armonia e la bellezza della natura. Tuttavia questo divenire cosmico presupponeva una fase precosmica in cui i semi, non ancora mossi e disciplinati dall'intelletto, formavano un miscuglio, ossia un caos originario: in esso i semi si trovavano in una condizione di confusione e di indistinzione, che non annullava però la loro intrinseca diversità qualitativa.
Grazie all'azione intelligente del Nous, si era passati dalla fase precosmica a quella cosmica, tanto che il filosofo affermò “insieme erano tutte le cose e l'intelletto le separò e le pose in ordine”. Il Nous era stato quindi la vera causa del mondo e del divenire cosmico.
A proposito della cosmologia di Anassagora, occorre fare menzione anche della sua teoria della pluralità dei mondi: i semi, unendosi e separandosi, formavano sistemi planetari simili al nostro, quindi esistevano altri corpi celesti analoghi al Sole, alla Luna e alla Terra.
Platone ed Aristotele tuttavia, come si accennava, rimproverarono ad Anassagora il fatto di aver concepito questa forza intelligente solo come forza meccanica, ossia come causa meccanica del divenire, e non come causa finale, ossia come finalità intelligibile, cioè non materiale, operante nella materia e in grado di orientarla nella formazione e strutturazione razionale degli enti (tanto per intenderci la causa finale era quella per cui il seme diventava pianta o organismo).
Naturalmente quella di Aristotele e Platone era una critica a posteriori, che rispecchiava il loro punto di vista, e comunque l'azione del Nous, essendo intelligente, implicava necessariamente uno scopo e una finalità, anche se Anassagora non insistette su tale aspetto. Il Nous quindi pose quei problemi di interpretazione che abbiamo incontrato già in Empedocle a proposito dell'amore e dell'odio: quale era la natura del Nous? Come esso si rapportava ai semi?
Nel tempo sono state date differenti interpretazioni: intanto il Nous, pur operando sui semi e al loro interno, non coincideva con essi, ma era separato dalle cose e dal divenire. Il Nous in sostanza era interno al mondo ma si distingueva comunque dai semi, non era costituito da essi. Abbiamo quindi anche in Anassagora la riproposizione di quel rapporto di immanenza (dentro) e trascendenza (fuori) che valeva per le due forze di Empedocle.
Circa la misteriosa natura di questa mente divina sono state prospettate almeno due interpretazioni: una naturalistica e una spiritualistica. Secondo la prima ipotesi il nous, pur non coincidendo con i semi, costituiva comunque una sorta di essenza materiale, anche se si trattava di una materia pura, semplice ed incorruttibile, di una specie di livello profondo e nascosto della materia, quindi in qualche modo diverso dalla materia degli enti naturali. La seconda ipotesi attribuisce invece al nous una natura immateriale. Anassagora avrebbe cioè già intuito il concetto di essenza o forma ideale, che sarà elaborato poi da Platone e Aristotele.
Tuttavia risulta difficile, se non impossibile, stabilire quale di queste ipotesi sia quella più aderente al modo di pensare di Anassagora, in quanto egli non diede spiegazioni illuminanti su tale aspetto, che resta quindi irrisolto: comunque, interpretazioni a parte, sicuramente si può affermare che “in Anassagora il pensiero del divino (dell'arché) si affina, ma non riesce a sganciarsi dai presupposti naturalistici” (C. Carbonara). È stato osservato inoltre che la visione anassagorea della Mente divina che tutto muove ed indirizza verso il bello ed il buono abbia costituito una prima forma di "concezione ottimistica del mondo" (A. Covotto).
Molto importante in Anassagora è anche il discorso della percezione sensibile che avviene per contrasto. Un oggetto può contenere per esempio sia semi di caldo che di freddo. Dipende poi dalla nostra condizione momentanea quale dei due sentiamo. Se siamo per esempio accaldati sentiremo i semi di freddo, al contrario sentiremo quelli di caldo se siamo stati esposti al freddo.

“La Verità dimora nel profondo (cioè nel piccolissimo e visibile solo con gli occhi della mente)”, “la Conoscenza sensibile è oscura, solo la Conoscenza razionale è genuina”, “è Opinione il colore, il dolce, l’amaro, cioè la qualità della cose, perché Verità sono gli atomi ed il vuoto”.

La teoria degli atomi

Definizione di ATOMO: dal greco (alfa privativo) + tomos  frammento si ottiene tomos frammento non divisibile.
La materia per Democrito è composta da piccolissime unità indivisibili, ma concrete: gli atomi, e dal vuoto privo di atomi. Gli Atomi sono qualitativamente identici, eterni, immutabili, quantitativamente diversi per forma e grandezza. Tutto è perfettamente ordinato in modo meccanicistico.
Il nome di Democrito è rimasto legato alla sua celebre teoria atomista considerata, anche a distanza di secoli, una delle visioni più “scientifiche” dell'antichità: l'atomismo democriteo infatti fu ripreso non solo da altri pensatori greci, come Epicuro, ma anche da filosofi e poeti romani (Lucrezio) nonché da filosofi del tardo medioevo, dell'età rinascimentale e del mondo moderno (come ad esempio Pierre Gassendi). Come è stato rilevato da Theodor Gomperz e da altri studiosi, Democrito può essere considerato il “padre della fisica”, così come Empedocle lo era stato per la chimica. Geymonat afferma che “l’atomismo di Democrito […] ebbe una funzione determinante, nel XVI e XVII secolo, per la formazione della scienza moderna”.
Alla base dell'ontologia di Democrito c’erano i due concetti di atomo e di vuoto. Democrito per certi aspetti sostituì l'opposizione logica eleatica tra essere e non essere con l'opposizione fisica tra atomo e vuoto: l’atomo costituiva l'essere, il vuoto rimandava in un certo senso al non essere.
Per Democrito un atomo costituiva l'elemento originario e fondamentale dell'universo, nonché il fondamento metafisico della realtà fisica; ciò significava che gli atomi non venivano percepiti a livello sensibile (realtà fisica) ma solo su un piano intelligibile, ossia attraverso un procedimento intellettuale che scomponeva e superava il mondo fisico-corporeo. C'è da precisare che l'atomo democriteo non costituiva in sé un'intelligibilità pura, come sarà l'idea di Platone, in quanto esso possedeva un'essenziale consistenza materiale: tuttavia era pur sempre una realtà intelligibile poiché sfuggiva ai sensi e si coglieva solo mediante l'intelletto. La realtà degli atomi costituiva per Democrito l'arché, quindi l’essere immutabile ed eterno. Gli atomi erano concepiti come particelle originarie indivisibili: essi cioè erano quantità o grandezze primitive e semplici (ovvero non composte), omogenee e compatte, la cui caratteristica principale è l'indivisibilità.
Democrito, quindi, contrappose alla divisibilità infinita dello spazio geometrico, sostenuta da Zenone con i suoi paradossi (celebre tra tutti quello della corsa tra Achille e la Tartaruga), l'indivisibilità dello spazio fisico, che trovava appunto nell'atomo un limite invalicabile. Gli atomi dunque, in quanto principio primo di ogni realtà, erano eterni ed immutabili: essi non erano stati generati né potevano essere distrutti, ma esistevano da sempre e sempre sarebbero esistiti.
Gli atomi, però, in quanto particelle quantitative (quindi del tutto diversi dai semi qualitativi di Anassagora), costituivano il pieno, che rimandava necessariamente alla realtà di un vuoto in cui potersi collocare, in cui poter esistere. Il vuoto infinito costituiva quindi anch'esso una realtà originaria analoga a quella degli atomi, poiché rendeva possibile la loro esistenza: infatti gli atomi non sarebbero stati nemmeno pensabili senza uno spazio vuoto infinito entro cui potersi muovere incessantemente.
In questo illimitato vuoto spaziale non esistevano più punti di riferimento, tanto è vero che il filosofo greco, quasi anticipando il moderno concetto di infinito fisico, così affermò: «non esiste basso né alto, né centro né ultimo, né estremo».
Gli atomi possedevano il movimento come loro caratteristica intrinseca: essi infatti si muovevano eternamente e spontaneamente nel vuoto, incontrandosi e scontrandosi. Il divenire del cosmo e della natura e la molteplicità degli enti erano dovuti proprio a questo incessante movimento da cui tutto si formava per poi disgregarsi. Il movimento quindi costituiva una proprietà intrinseca e spontanea degli atomi e, come tale, non era generato da una causa esterna ad essi: spontaneamente, per loro natura, essi si muovevano.
Come abbiamo già detto, gli atomi democritei, essendo definiti come quantità infinitesime, erano del tutto privi di determinazioni qualitative: sono fatti tutti della medesima materia, ma differiscono per quanto riguarda gli aspetti quantitativi, vale a dire forma, ordine e posizione.
Dal punto di vista della forma, ad esempio, l'atomo A era diverso dall'atomo B (la forma evidentemente includeva anche la grandezza). La posizione indicava il fatto che l’atomo A occupasse un posto diverso da quello di B; infine l’ordine (o contatto reciproco) indicava l’esistenza di una relazione AB che era diversa da BA. Utilizzando l'esempio di Aristotele, le differenze tra gli atomi possono essere spiegate al pari delle differenze che costituiscono le lettere dell'alfabeto: A differisce da N per la forma, AN da NA per l'ordine, mentre Z differisce da N per la posizione. Tutte queste differenze, come si vede, erano di natura geometrico-quantitativa e davano luogo ad una realtà caratterizzata esclusivamente da rapporti quantitativi, secondo quell’idea che era stata già intuita dalla
scuola pitagorica.

Il divino

Così come per il resto della materia, anche l'anima (psychè) per Democrito era costituita da atomi, atomi più sottili e lisci, di natura ignea. Essi penetrano tutto il corpo e gli danno vita e vengono mantenuti in esso grazie alla respirazione, inoltre grazie a questa capacità di vivificare, di render pensante l'uomo, erano considerati divini. Infine, Democrito sostiene che gli dei sono fatti di atomi proprio come gli esseri umani, ma che non interagiscono affatto con noi: questo fatto lo fece considerare come un vero e proprio anticonformista e ateo, una vera rarità ai suoi tempi.

Etica

Contrariamente a quando può sembrare il materialismo di Democrito non porta all’Edonismo, cioè a godere il più possibile l’”attimo fuggente” tanto siamo materia destinata a scomparire, ma porta ad una sorta di Razionalismo morale.
Nella sua lunga esistenza Democrito scrisse infatti anche opere di etica, in cui affermava che l'interesse maggiore dell'Uomo deve essere la felicità, che si ricerca attraverso una moderata cancellazione della paura.
La felicità però per Democrito, non è da identificarsi nel possesso di beni materiali, nel prestigio o nel potere, ma nell'esser moderati e nel condurre una vita giusta. È necessario essere coraggiosi non in guerra, bensì contro i piaceri sensibili che rendono l'uomo schiavo dei sensi. Il razionalismo etico di Democrito assume come concetto guida il raggiungimento dell'euthymìa, ossia della tranquillità, della serenità dell'animo.
Vero saggio dunque è colui che impronta la sua vita a regole di moderazione, di accorta misura e di equilibrio, rifuggendo i turbamenti e le passioni. Il discorso morale di Democrito ha un carattere prevalentemente personale e privato, in quanto si rivolge al singolo e alla sua ricerca della felicità e del bene più che alla comunità sociale e politica. La tranquillità interiore d'altro canto non implica affatto la passività e l'ozio, anzi Democrito apprezza la vita attiva e produttiva, affermando tra l'altro che: Le fatiche sono più piacevoli dell'inerzia. Inoltre Democrito elegge la ragione a giudice e guida dell'esistenza e fa dell'equilibrio e della misura il supremo ideale di condotta. Questa morale fa riferimento ad un'etica del dovere fondata sul rispetto verso se stessi: non si deve aver rispetto per gli altri più che per sé.
Riassumendo:
1.  la Ragione va eretta a giudice e guida dell’esistenza
2.  la Ragione fa della misura e dell’equilibrio il supremo ideale di condotta
3.  la Ragione suggerisce un’etica del dovere fondata sul rispetto verso se stessi

Riflessioni (di don Claudio Crescimanno)


Rimettiamo a fuoco questo “genio dei Greci” e ricordiamo con quanta caparbietà alcuni uomini si mettono alla ricerca della comprensione della realtà e ad una comprensione a tutto campo con il rigoroso esercizio della ragione (la filosofia). Vediamo innanzi tutto come questa, mammano che si dilata, si apparenta con altri campi e ne chiede il contributo. In particolare la filosofia tira in ballo prepotentemente la Scienza e la Religione, cose che a noi sembrano autonome e slegate, ma più spesso addirittura in antitesi.
Questa indagine sulla realtà e per la verità, è un’indagine che non accetta limiti, vuol tutto comprendere (prendere con). La Realtà infatti non si lascia comprendere in compartimenti stagni, ma si mette tutta a disposizione del filosofo che la indaga con lo strumento della ragione. Stabilità e cambiamento, molteplicità e unità, sono dei rompicapi che appassionano l’uomo che ha la capacità di stupirsi di ciò che lo circonda e del quale vuol sapere i perché e le ragioni ultime e per questo usa appropriatamente la Ragione, questa dotazione che lo rende così diverso dall’animale. “Non di solo pane vive l’uomo”, ma l’animale si. “Fatti non foste per vivere come bruti”, cioè come chi non si preoccupa di sapere chi è, da dove viene, dove va, il perché delle cose, ecc.
Si arriva con questi primi Filosofi a scoprire che il mondo, o l’Essere, o la Physis non si possono immaginare essere composte e originate da altre cose, ma che deve esistere un qualcos’altro a di fuori di esse che le determina, le governa, le organizza. Questo darà origine alla Metafisica (oltre la fisica) che non sarebbe nata se non “stuzzicata” da questi validi utilizzatori della ragione. Da questi primi filosofi, denominati poi Presocratici, nasce e si sviluppa la nostra civiltà occidentale, che mai come oggi ha bisogno di riscoprire le sue radici.

La parola alla scienza

Dall’Atomo di Democrito alla Fisica moderna

I filosofi greci, Leucippo (V secolo a.C.), Democrito (V-IV secolo a.C.) ed Epicuro (IV-III secolo a.C.), e romani, quali Tito Lucrezio Caro (I secolo a.C.), ipotizzarono che la materia non fosse continua, ma costituita da particelle minuscole e indivisibili, fondando così la "teoria atomica". Questa corrente filosofica, fondata da Leucippo, venne chiamata "atomismo. Si supponeva che i diversi "atomi" fossero differenti per forma e dimensioni.
Democrito propose la "teoria atomica", secondo cui la materia è costituita da minuscole particelle, diverse tra loro, chiamate atomi, la cui unione dà origine a tutte le sostanze conosciute. Queste particelle erano la più piccola entità esistente e non potevano essere ulteriormente divise: per questo erano chiamate atomi.
Solo intorno all’anno 1800 i chimici francesi  Lavoisier e Proust scoprirono le leggi fondamentali che regolano la formazione dei composti nelle reazioni chimiche. Per spiegare queste leggi l’inglese John Dalton propose la teoria atomica, secondo cui ogni elemento chimico è costituito da moltissimi atomi identici, ciascuno dei quali ha in sé tutte le proprietà dell’elemento. Nasce la Fisica moderna.

La scoperta dell’atomo

Gli atomi dovevano essere particelle molto piccole, invisibili anche al microscopio, con dimensioni dell’ordine di 10–10 m (un decimo di milionesimo di millimetro) e prive di carica elettrica. In greco atomo significa «indivisibile»: per Dalton infatti gli atomi erano i costituenti ultimi della materia, privi di qualsiasi struttura interna. Nel 1870 il chimico russo Dimitri Ivanovic Mendeleev basò su questa teoria la sua classificazione dei diversi tipi di atomi: il risultato era riassunto nella tabella periodica, che permetteva di spiegare tutti i fenomeni chimici allora conosciuti.



La radioattività di Marie Curie

Alla fine dell’Ottocento però i francesi Pierre e Marie Curie scoprirono che gli atomi di alcuni elementi chimici possono trasformarsi spontaneamente in atomi di tipo diverso. Tra questi atomi «speciali» c’è il radio, e il fenomeno fu chiamato radioattività. Gli atomi radioattivi emettono corpuscoli chiamati particelle alfa (se carichi positivamente) o particelle beta (se carichi negativamente). La radioattività quindi dimostra che l’atomo non è indivisibile, ma contiene particelle più piccole e dotate di carica elettrica. Poiché però complessivamente l’atomo è neutro, al suo interno devono esserci particelle con cariche elettriche positive e negative che si compensano a vicenda.

La radioattività e il modello di Thomson

 
Negli stessi anni il fisico inglese Joseph John Thomson, facendo esperimenti con i tubi catodici, aveva identificato gli elettroni, che sono particelle più piccole degli atomi, sono cariche negativamente e hanno proprietà simili alle particelle beta. Thomson concluse che l’atomo contiene elettroni, e propose il primo modello per la struttura interna dell’atomo: una specie di «panettone» sferico, fatto di una sostanza dotata di carica elettrica positiva, al cui interno sono distribuite «uvette» corrispondenti agli elettroni.
L’atomo secondo Rutherford

Nel 1911 il fisico neozelandese Ernest Rutherford eseguì un esperimento destinato a rivoluzionare la nostra conoscenza dell’atomo. Utilizzò una sorgente radioattiva come «cannone» per sparare particelle alfa contro lamine d’oro sottilissime, il comportamento di queste particelle gli permise di scoprire che la carica elettrica positiva è concentrata in un nucleo centrale piccolissimo, che ha un raggio di un centesimo di miliardesimo di millimetro; che gli elettroni orbitano intorno al nucleo, a una distanza pari a diecimila volte il raggio del nucleo stesso. Secondo questo «modello planetario», in cui gli elettroni orbitano intorno al nucleo come i pianeti intorno al Sole, gli atomi quindi sono quasi del tutto vuoti. La maggior parte delle particelle alfa passa nello spazio vuoto tra il nucleo e gli elettroni, e quindi attraversa gli atomi indisturbata; solo in qualche occasione le particelle colpiscono il nucleo, e allora rimbalzano.


Il modello dell’atomo di Bohr

Nel modello di Rutherford c’è un problema: il moto degli elettroni è accelerato, perché la direzione della loro velocità cambia mentre orbitano intorno al nucleo. Secondo le leggi della fisica tradizionale, una particella carica accelerata perde energia: gli elettroni perciò cadrebbero sul nucleo in un tempo brevissimo, e gli atomi sarebbero instabili. Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr propose allora un’altra ipotesi, cioè gli elettroni possono soltanto occupare orbite che si trovano a particolare distanza dal nucleo. Nel modello di Bohr il raggio e l’energia delle orbite degli elettroni sono grandezze quantizzate: invece di variare con continuità, cioè, possono assumere soltanto alcuni valori. Per quanto strano possa apparire, questo modello è stato confermato da moltissimi esperimenti ed è il fondamento della teoria quantistica, la migliore descrizione che oggi abbiamo del mondo subatomico. Su di essa, in particolare, si basa il funzionamento di tutte le apparecchiature elettroniche che usiamo ogni giorno.

All’interno del nucleo


Tra il 1920 e il 1935 i fisici riuscirono a identificare le particelle che formano il nucleo degli atomi: i protoni, dotati di carica positiva, e i neutroni, elettricamente neutri. La loro massa è quasi 2000 volte maggiore di quella dell’elettrone, e sono tenuti insieme da una forza nucleare che fa da collante per il nucleo, impedendo che si spezzi a causa della repulsione elettrica tra i protoni. Dopo la Seconda guerra mondiale sono stati costruiti grandi acceleratori nei quali le particelle subatomiche vengono fatte scontrare tra loro a grandissima velocità. Come nell’esperimento di Rutherford, i risultati degli urti permettono di identificare la struttura interna delle particelle. Si è così riusciti a «spezzare» i neutroni e i protoni, scoprendo che sono formati da particelle ancora più piccole, i quark, che oggi sono il principale oggetto di studio della fisica delle alte energie.

La Scienza e l’esistenza di Dio

 Giancarlo CAVALLERI
 I referti scientifici confermano: il mondo non esiste da sempre.
Ecco il punto di partenza per una prova dell’esistenza di Dio. Supponiamo di costruire una stanza perfettamente isolata termicamente (cioè che non scambi calore con l’esterno) e poniamo entro di essa un ferro da stiro rovente e, sullo stesso tavolo, un blocco di ghiaccio. La temperatura dell’aria nella stanza è di 25 gradi. Poi stacchiamo l’interruttore della corrente elettrica e chiudiamo il gas, usciamo e serriamo la porta perfettamente isolante. Cosa ci si aspetta se torniamo nella stanza dopo un mese? Che il ghiaccio si sia sciolto, che il ferro da stiro si sia raffreddato in modo che la sua temperatura sia quasi indistinguibile da quella dell’acqua proveniente dal ghiaccio sciolto e da quella dell’aria della stanza (rimaste pressoché a venticinque gradi centigradi). Viceversa, se entrassimo in una stanza che sappiamo isolata termicamente e trovassimo il ferro da stiro ancora abbastanza caldo ed il pezzo di ghiaccio non ancora completamente sciolto, dedurremo che quel sistema (la stanza) era stato così preparato non molto tempo prima. Osserviamo ora il cielo: vi sono stelle (il sole è una stella di media grandezza) caldissime, pianeti tiepidi o freddi, spazi interstellari, e soprattutto intergalattici, estremamente freddi. Poiché l’universo è un sistema isolato (poiché include la totalità delle cose fisiche e quindi non scambia calore con qualche altro sistema), deduciamo che è stato preparato così (cioè con queste temperature disomogenee) non da sempre, altrimenti la temperatura si sarebbe già livellata, ossia sarebbe uniforme ovunque. Ora le cose esistono e tutti concordano nel dire che qualcosa di necessario sia sempre esistito, poiché dal nulla non può scaturire niente. Un materialista dirà che questo qualcosa è la materia, un panteista dirà ancora che è la materia, a cui attribuisce proprietà magico-divine, un teista dirà che è Dio. Come abbiamo visto, la materia non può essere sempre esistita, altrimenti la temperatura sarebbe uniforme, mentre invece vi sono notevoli differenze di temperatura fra stelle, pianeti e spazi interstellari. Anche il panteismo è sconfessato poiché al giorno d’oggi tutto ciò che è fisico è noto e non ha affatto proprietà magico-divine. Pertanto, visto che la materia non esiste da sempre e visto che essa non è divina, è necessario (cfr. l’articolo di G. Samek Lodovici in questo dossier) che Qualcosa di non naturale, cioè di natura qualitativamente diversa da quella fisica, abbia creato l’universo.
C’è un’obiezione: noi non conosciamo lo stato della materia appena dopo il grande scoppio primordiale e soprattutto, anche ora, la materia che conosciamo (quella barionica, composta da protoni, neutroni ed elettroni), è solo il 4% del totale, essendo il 30% quella «oscura» (di cui la scienza ufficiale non ha la minima idea circa la sua composizione), ed il 66% la quint’essenza (o energia oscura) di cui non solo non conosciamo la composizione, ma che dovrebbe avere proprietà fisiche alquanto strane. Ma la risposta è semplice: la tendenza al livellamento della temperatura è valida per qualsiasi tipo di forza fra particelle elementari, ossia per qualsiasi tipo di carica (elettrica, nucleare, ecc.) e per qualsiasi dipendenza dalle loro mutue distanze e dalle loro velocità ed accelerazioni. La tendenza al livellamento delle temperature è una conseguenza del secondo principio della termodinamica, che è come un grande ombrello sotto cui stanno tutte le altre leggi fisiche: anche se le leggi fisiche cambiassero (sia realmente, sia nella nostra comprensione), la loro mutazione non scalfirebbe la validità dell’ombrello. Infatti, il secondo principio della termodinamica è una conseguenza del fatto che un sistema isolato o è stazionario, oppure, se cambia, evolve verso stati più probabili (cioè che possono essere ottenuti in più modi rispetto agli stati precedenti).
C’è una seconda obiezione. Qui il discorso diventa necessariamente tecnico e difficile. Pertanto mi rivolgo agli specialisti: chi non frequenta abitualmente testi di fisica legga direttamente, se ritiene, l’ultimo paragrafo del mio articolo. Quest’obiezione deriva da un’errata interpretazione della relatività generale di Einstein: anche il tempo sarebbe sorto con l’apparire dell’universo e quindi non avrebbe senso parlare di una causalità temporale. In realtà, è vero che il ritmo di un orologio viene progressivamente rallentato all’aumentare del campo gravitazionale. Se però si immaginasse di ridurre progressivamente le masse di tutti i corpi celesti, il ritmo di un orologio aumenterebbe fino ad un massimo che è quello newtoniano (se l’orologio è fermo rispetto all’osservatore). Questo ritmo massimo corrisponde allo svanire di tutto l’universo ed avrebbe ancora pieno senso parlare non solo di tempo ma anche della sua misura. Ma c’è ancora di più. È stata sviluppata una teoria che parte dallo spazio-tempo piatto, ad opera di Wolfgang Pauli e suoi collaboratori, da Richard Feynman, poi da altri, tra cui spicca Stanley Deser, ed infine completata dal prof. Giancarlo Spinelli e da me, in cui la gravitazione è trattata come un qualsiasi altro campo della fisica. Ne risulta che i corpi, e quindi le aste graduate, vengono accorciate e i ritmi degli orologi rallentati, in modo che lo spazio-tempo misurato con questi strumenti modificati risulta proprio quello curvo della relatività generale. Ha quindi ancora senso la concezione newtoniana di tempo che scorre anche prima dell’apparire della materia. Qui poi interessa solo un prima e un dopo e non come variano i ritmi degli orologi con la loro velocità relativa o con diversi campi gravitazionali. Tant’è vero che i fisici hanno elaborato teorie con «energie di vuoto quantistico» che precedono il grande scoppio primordiale (da cui è apparsa la materia che ora osserviamo). Il livellamento progressivo della temperatura limita però l’esistenza dell’energia di vuoto (precedente il big bang) ad un tempo passato limitato. I tentativi di estenderlo all’infinito richiedono densità di energia infinite e sono stati da me criticati sul Timone (Maggio 2004, pp. 50-51).
Abbiamo visto che l’universo è stato creato da Qualcosa di natura qualitativamente diversa da quella fisica. Ebbene, osservando l’universo si scopre anche che questo Qualcosa ha creato l’universo con leggi fisiche intelligenti (cfr. il mio articolo sul Timone, maggio 2004, cit.) e quindi è un Qualcuno, che è intervenuto anche per l’origine della vita (cfr. il Timone, novembre/dicembre 2001, pp. 40-41). Questa prova dell’esistenza di Dio non solo conferma la conoscibilità della sua esistenza mediante la sola ragione umana (come definito nel Concilio Vaticano I del 1869-70), ma anche un secondo dogma, enunciato nel IV Concilio Lateranense (1215): «Dio, pur con decreto eterno, ha creato il mondo nel tempo», ossia in un passato limitato.
DIO E LA RAGIONE
«L'ho chiesto al mare, agli abissi e ai rettili con anime viventi [cfr. Gen 1,20] e mi hanno risposto: "non siamo il tuo Dio, cerca al di sopra di noi". L'ho chiesto ai venti che soffiano, e tutta l'atmosfera con i suoi abitanti mi ha risposto: "Anassimene si inganna: io non sono Dio". L'ho chiesto al cielo, al sole, alla luna, alle stelle: "Neanche noi siamo il Dio che tu cerchi", rispondono. L'ho chiesto a tutti questi esseri che stanno attorno al mio corpo: "Parlatemi del mio Dio; poiché voi non lo siete, ditemi qualche cosa di lui": Ed essi acclamarono a gran voce: E' lui che ha fatto noi [cfr. Sal 100,3]». (Agostino, Confessioni, Lib X, c. VI).
BIBLIOGRAFIA
Giancarlo Cavalleri, “L’origine e l’evoluzione dell’universo”, Tecniche Nuove, 1987

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