Aristotele (Stagira
384-83 a. C. - Calcide 322 a. C.).
« ’l maestro di
color che sanno seder tra filosofica famiglia. »
|
(Dante
Alighieri, Divina Commedia, Inferno, IV, 131-132)
Discepolo di Platone, è considerato una delle menti filosofiche più innovative,
prolifiche e influenti del mondo antico occidentale per la vastità dei suoi
campi di conoscenza; fu stimato per secoli come l'emblema dell'uomo sapiente
e come precursore di scoperte.
Aristotele ama recuperare tutta la realtà del
sensibile e per questo critica la dottrina delle IDEE e dell’IPERURANIO di
Platone. Le IDEE che per Platone stanno nell’IPERURANIO, fuori dalla realtà
oggettiva,
Il tempo
storico di Aristotele
Sebbene gli anni
che separano Platone e Aristotele siano relativamente pochi, tra i due
periodi si notano cambiamenti sostanziali soprattutto per quanto riguarda le
pòlis greche.
|
Le
sue vittorie sul campo di battaglia, furono accompagnate da una diffusione
universale della cultura greca e dalla sua integrazione con elementi culturali
dei popoli conquistati, diedero l'avvio al periodo ellenistico della storia
greca.
A causa però della
pressione macedone, le pòlis greche entrarono in crisi, e i cittadini greci,
abituati a partecipare attivamente alla vita politica del proprio paese,
vedendo il governo in mano ad altri, se ne allontanarono sempre più.
La vita
Aristotele nacque a
Stagira nel 384 a.C. A 17 anni entrò a far parte della scuola di Platone, e continuò
ad essere allievo di questo per altri 20; ovviamente la formazione del pensiero
di Aristotele avvenne completamente sotto l'influenza di quello di Platone.
Tuttavia, il pensiero e la critica di Aristotele risultano differenti da quelli
del suo maestro. Alla morte di quest'ultimo, Aristotele lasciò la scuola e si
trasferì ad Asso.
Qui, assieme ad
altri due allievi di Platone, fondò una piccola comunità platonica e sposò
Pitia. Nel 342a.C. venne convocato dal Re macedone che gli affidò l'educazione
del proprio figlio Alessandro; a quest'ultimo Aristotele comunicò la propria
convinzione della superiorità della cultura greca che, assieme ad un governo
forte ed unitario, gli avrebbe permesso di dominare tutto il mondo.
Tuttavia Alessandro
preferì istituire un governo secondo il modello dei governi orientali. Aristotele
allora si allontanò da lui.
Dopo 13 anni
ritornò ad Atene e qui nel 335 a. C. fondò la sua scuola. Era questa collocata nella
stessa area del
santuario dedicato ad Apollo Licio, chiamato per questo motivo Liceo.
Il
Liceo, oltre l'edificio e il giardino, comprendeva la passeggiata lungo dei
colonnati, per questo chiamata anche scuola peripatetica (peripatoi
"colonnati"). In questa scuola, Aristotele e gli scolari più anziani,
seguivano dei corsi regolari mattina e pomeriggio. Nel 323 a.C., dopo la morte
di Alessandro, la vita di Aristotele venne messa in pericolo dalle insurrezioni
del partito nazionalista e, perciò, Aristotele si rifugiò a Calcide. Qui, un
anno dopo morì per una malattia allo stomaco.
Gli scritti esoterici
Conosciamo Aristotele attraverso gli scritti esoterici: appunti suoi privati
che gli servivano per preparare le sue lezioni al circolo per una piccola
cerchia di suoi discepoli. Sono invece andate in gran parte perdute le sue opere essoteriche quelle cioè che erano
destinate al pubblico. Aristotele si è occupato davvero di tutto e in modo
sistematico; ha classificato tutte le scienze possibili e immaginabili e le ha
suddivise in tre grandi settori:
Sono così chiamate
quelle scienze che studiano le cose necessarie che sono come devono essere e non possono essere diverse da come sono e
che si studiano per il gusto di sapere (un sapere disinteressato) e che sono la
Filosofia prima (chiamata poi Metafisica), la Fisica e la Matematica.
Ricordiamo qui che invece Platone aveva
uno scopo politico, non teneva in grande considerazione la Physis, la Fisica,
ma gli importava il mondo delle Idee.
Studiano il possibile, anche se non necessario, ed hanno come scopo
l’orientamento dell’agire e sono l’Etica
e la Politica. Scienze che si
studiano per l’agire.
Chiamate anche Scienze produttive, hanno come scopo
la produzione di opere e sono le Belle Arti, la Poesia e le Tecniche.
La Metafisica
La Metafisica quindi è per Aristotele
una scienza teoretica, ma per capirla bene dobbiamo percorrere il passaggio da
Parmenide a Platone e quindi ad Aristotele.
Confronto fra Parmenide, Platone e Aristotele
Platone, nella sua opera “il sofista” distingue due significati del
non essere: il non essere è il
contrario dell’essere, cioè il diverso
dall’essere (una sorta di non essere relativo).
·
L’Essere ideale e quello sensibile sono
molteplici.
·
Il mondo sensibile resta comunque qualcosa
di ambiguo. È visto come il regno dell’opinione, delle ombre dove non c’è
scienza.
·
Solo il regno delle idee è scienza e
per questo eleva l’uomo e lo fa diventare filosofo.
Aristotele invece afferma che tutte le cose ad ogni livello sono
qualcosa, tutto ciò che esiste è qualcosa ed essendo qualcosa si può studiare.
Cioè ci ricollega o ci riconcilia con la realtà dando ad essa dignità.
Affermazioni di Aristotele
·
L’essere si può usare in diversi
“sensi” o “significati”, tutti comunque legati fra loro.
Cioè:
·
L’essere non è un termine “univoco” con
un unico e solo significato (Parmenide)
·
L’essere non è un termine “equivoco” ma
un termine con diversi “sensi” o “significati” legati fra loro. È un termine polivoco = Essere con molti significati
Per esempio un termine univoco è
l’animale che lo posso attribuire alle diverse tipologie di animali. Un termine
polivoco è invece “cane”, che posso usare per indicare l’animale cane, la
costellazione del cane, una persona particolarmente cattiva o incapace o
incompetente, il percussore di una pistola, ecc. Il legame che esiste fra loro
sta nella loro forma che richiama quella del cane, o nel comportamento che
richiama quello di un cane malvagio.
Per Platone il mondo delle idee sta
nell’Iperuranio, per Aristotele l’idea sta nelle cosa stessa.
Questa “Filosofia prima”, come la
chiamava Aristotele prima che prendesse
il nome di Metafisica, è una scienza teoretica che affrontiamo per il gusto di
sapere senza scopi necessariamente utilitaristici e che studia: le cause e i principi primi, l’essere in
quanto essere, la sostanza e Dio e la sostanza immobile.
La Metafisica non studia una parte
dell’essere, come fa per esempio la matematica che si occupa dell’aspetto
numerico della realtà, ma studia l’essere in quanto essere, cioè di tutte
quelle caratteristiche che danno ragione delle cose, in quanto cose.
La Metafisica studia le caratteristiche
che tutti gli enti debbono avere in quanto esistono. Studia l’esistere, studia
l’essere in quanto tale. Questo ci fa prendere in considerazione il fatto che
la Metafisica è molto meno trascendente di quello che si pensa, perché è molto
più legata alla Physis e a ciò che esiste davvero anche se non lo vedo.
Vari significati dell’essere:
L’essere
come CATEGORIE (in greco – predicato, ciò che si predica o si dice delle cose).
Sono le caratteristiche fondamentali e
strutturali dell’essere, cioè come l’essere si presenta a noi. Sono delle
determinazioni generalissime che ogni essere o ente ha e che non può fare a
meno di avere. Sono i modi basilari in cui la realtà si presenta a noi. A noi
la realtà si presenta organizzata in categorie, cioè in un tempo, in un luogo e
con delle qualità.
CATEGORIA
|
ESEMPIO
|
Sostanza o essenza (il
soggetto)
|
Aristotele
|
Qualità
|
Vecchio
|
Quantità
|
Alto 4 cubiti
|
Relazione
|
Più dotto di Socrate
|
Azione o agire
|
Dibatte
|
Passione o patire
|
Colpito da un raggio di sole
|
Dove o luogo
|
Nel Liceo
|
Quando o tempo
|
Nel IV se. a.C.
|
Avere
|
Abbigliato di bianco
|
Essere in una posizione
o giacere
|
In piedi
|
Le categorie sono i modi fondamentali
dell’essere o delle cose. Le cose sono strutturate secondo le categorie. Tutte
queste categorie sono comunque sempre riportate ad una sorta di super categoria
che è la Sostanza.
La Sostanza
È innegabile che una cosa o un essere
sia in un luogo in un certo tempo, abbia una dimensione, faccia qualcosa, ecc.,
ma è indubbio che esiste ed abbia una Sostanza di cui tutte queste cose sono
accessori importanti, ma non determinanti.
Tutte le categorie si rifanno alla
Sostanza.
la Sostanza è la base di tutto.
Sostanza è l’ente, ciò che mi sta davanti, ciò che è. Il termine deriva dal
greco Ousia, e in italiano potrebbe
essere tradotto in “essente”, participio presente del verbo essere. Anche il
termine greco Hypokéimenon = ciò che
sta sotto resistendo e sorreggendo e che ha il corrispondente latino: sub-stantia ci aiuta a capire.
Cos’è allora la Sostanza?
Cioè il soggetto a cui posso dare
significati reali vestendolo degli attributi o accidenti che lo caratterizzano
(colore, sapore, dimensione, peso, comportamento, luogo, ecc.).
Quindi per Aristotele le idee non
possono stare altrove rispetto alla materia, ma sono un tutt’uno con essa.
Questo tutt’uno è un Ente Autonomo che ha vita propria.
Aristotele poi chiama Sostanza anche la
Forma affermando che la Sostanza è sia l’essere dell’essenza (sinolo), sia
l’essenza dell’essere (forma). Ma in estrema sintesi la Sostanza è l’unione
indissolubile di Materia e Forma. La statua di bronzo di Aristotele o del Dio
Ares rappresenta una unione indissolubile fra Materia e Forma, una non potrebbe
esistere senza l’altra.
Un esempio di applicazione
di questo concetto di Sostanza di Aristotele lo si ha in Teologia per spiegare
l’Eucarestia.
In Teologia,
transustanziazione o transubstanziazione (lat. trans-substantiatio)
è il termine per indicare la conversione:
- della sostanza del pane nella sostanza
del corpo di Cristo e
- della sostanza del vino nella sostanza
del sangue
di Cristo,
che
avviene, durante la celebrazione
eucaristica, dopo
la pronuncia delle parole della consacrazione nella preghiera
eucaristica.
Prima
e dopo la Consacrazione visibilmente e chimicamente non cambia nessuno degli
attributi o accidenti del pane e del vino, cambia solo la sostanza che non è
più quello del pane e del vino, ma diventa il corpo e il sangue di Cristo.
Il principio di non contraddizione
Altro importante contributo della
Metafisica è il principio di non contraddizione. Ci fa osservare che noi non
possiamo dire, nello stesso tempo, che una cosa è e contemporaneamente non è, cioè
che sia e nello stesso tempo non sia. Aristotele afferma che la metafisica deve auto-costituirsi in
analogia con le altre scienze: così come le scienze spogliano le cose da tutti
quei caratteri diversi da quelli che esse prendono in considerazione (ad esempio il matematico spoglia le cose di
tutte le qualità sensibili, per ridurle alla sole quantità), allo stesso modo
la filosofia deve ridurre tutti i vari significati di “essere” ad un unico
significato, poiché la filosofia non studia i vari aspetti dell'essere, ma l’essere
in quanto tale. Per procedere in
questo modo, la filosofia ha bisogno del principio di non contraddizione.
Esempio: non si può
affermare contemporaneamente “l'uomo è un animale ragionevole” e “l'uomo non è
un animale ragionevole”; una delle due affermazioni e necessariamente falsa,
l'altra necessariamente vera.
Esempio: se l'uomo
è un animale ragionevole, ad ogni uomo bisogna riconoscere la natura di animale
ragionevole; e se si nega che qualcuno lo sia (ragionevole), allora si deve
dire che non è un uomo. In questo modo, il principio di non-contraddizione
significa che ogni essere ha una natura determinata che non gli si può negare;
tale natura, quindi, è necessaria.
Aristotele,
appunto, chiama “sostanza” la natura necessaria di un essere qualsiasi. La
sostanza è pertanto l' equivalente ontologico del principio logico di
non-contraddizione. In altri termini la sostanza è l'essere dell'essere; in
questo modo il problema dell'essere si concretizza nel problema della sostanza,
ed è proprio quest'ultimo il compito della metafisica.
Conoscenza delle cause
Aristotele
individua quattro cause per spiegare ciò che esiste.
Cause che spiegano le cose nella loro
staticità
1.
La Causa Materiale. La causa che spiega un oggetto è la materia della quale è
costituito. Materiale di una statua di bronzo è il bronzo, ma il bronzo da solo
non spiega la cosa.
2.
La Causa Formale. La
Forma è un’altra causa che spiega l’oggetto. La forma ci dice che quella statua
rappresenta Giove.
Cause che spiegano il divenire
3.
La Causa Efficiente. Da dove viene l’oggetto? Dal suo fabbricatore o
realizzatore, nel caso della statua dallo scultore. Di un figlio la causa
efficiente sono i genitori, di un uovo è la gallina.
4.
La Causa Finale. Per
quale scopo l’oggetto è stato fatto? La statua per esporla in pubblico per la
devozione popolare, il figlio per un sentito bisogno e dovere di perpetuare la
vita, l’uovo per soddisfare un bisogno di alimentazione, ecc.
La dottrina
del divenire
Il divenire non è un passaggio
dall’essere al non essere di Parmenide, ma è un passaggio da un certo tipo di
essere ad un altro.
1.
Movimento locale. Cambiamento di luogo. Passo un libro da
uno scaffale ad un altro. Prima era in un “dove” poi è in un altro “dove”, ma
la sostanza non cambia.
2.
Movimento qualitativo. Cambiamento di una caratteristica
qualitativa. Mi cominciano a spuntare capelli bianchi e passo da una
capigliatura nera ad una brizzolata.
3.
Movimento quantitativo. Cambiamento di una dimensione. Faccio
una cura dimagrante e passo da un peso corporeo ad un altro.
4.
Movimento sostanziale. Cambiamento della sostanza. Quando una cosa diventa
qualcos’altro, questo passaggio non può essere dall’essere al non essere. Ma da
ciò che era potenzialmente a ciò che ora è.
Dottrina della Potenza e dell’Atto
Aristotele per spiegare il movimento
sostanziale introduce qui i concetti di Potenza e Atto. Un tronchetto di legno che arde nel camino è potenzialmente un
pezzo di carbone. Il legno che diventa carbone ha cambiato di sostanza. Il fuoco che fa diventare carbone il
pezzo di legno è l’atto che origina il cambiamento, senza questo il legno
rimarrebbe legno. L’atto è l’incendio del legno che permette il suo cambiamento
sostanziale. L’atto quindi presume un agente esterno che innesca il
cambiamento. Il fuoco in atto ha consentito il cambiamento.
Il genio di Collodi ci può spiegare che
il pezzo di legno che Geppetto si porta via da mastro Ciliegia è potenzialmente
un burattino. Diventa però Pinocchio grazie all’intervento del bravo falegname
Geppetto.
Potenza:
la possibilità da parte della materia di assumere una determinata forma
Atto: la realizzazione di tale capacità. Chiamato anche
“entelechìa”, cioè realizzazione, perfezione attuata.
L’esistenza di Dio
Se esiste il movimento, e abbiamo
capito che esso è un passaggio dalla Potenza all’Atto, ci deve essere qualcosa
che muove dall’esterno. Possiamo cercare le cause del movimento all’indietro,
ma non potendo pensare di andare a ritroso all’infinito dobbiamo immaginare un
qualcosa che spieghi il muoversi del mondo. Qualcosa o qualcuno che muove il
tutto senza muoversi e che è il riferimento di tutto, pena il caos. Questo motore
che muove stando fermo, chiamato “motore
immobile”, è Dio.
Dio è motore immobile in quanto è la
causa finale di tutte le cose e tutte le cose tendono a lui. Il motore immobile
si muove solo per causa finale perché è un qualcosa pienamente in atto (cioè un
qualcosa che è). Se il motore immobile si muovesse per causa efficiente non
sarebbe atto, bensì potenza (cioè qualcosa che non è, ma potrebbe essere).
Quindi per Aristotele:
v
Dio è atto puro (perché non può diventare qualcos’altro, non
può essere potenza e poter diventare qualcos’altro)
v
Dio è pura Forma (senza
materia)
v
Dio è sostanza incorporea
v
Dio è causa finale di tutto
v
Dio è pensiero di pensiero
(pensa a se stesso, perché pensare qualcos’altro vorrebbe dire cambiare)
v
Dio è oggetto d’amore.
Centro di attenzione e di perfezione assoluta, come l’amore che attira a sé
l’amante. È oggetto d’amore, ma lui non ama nulla.
La filosofia secondo Aristotele:
l'arte del ragionare in modo
corretto
Aristotele
concepisce la filosofia non tanto come un esercizio di sapienza, bensì
un'attività scientifica articolata in un sistema di discipline distinte, e
mirante ad abbracciare tutti gli aspetti della realtà. Essa non serve a
trasformare il mondo, ma soltanto a comprenderne l'ordine e a giustificarlo
così com'è. Il sapere è inteso come la conoscenza delle cause e i principi. Al
di sopra di ogni disciplina, ad Aristotele va il merito di aver insegnato la logica, l'arte del ragionare in modo corretto per scoprire la verità delle cose.
Prima di lui, quando non si riusciva ad interpretare un fenomeno naturale, si
credeva che intervenisse una forza soprannaturale. Egli dimostrò che con il
ragionamento si potevano spiegare i fenomeni dell'Universo. Molte sue geniali
osservazioni non sono ora più accettabili, in virtù del fatto che egli vi
giunse solo con l'aiuto della logica, senza mai sperimentare. Le teorie di
Aristotele furono considerate le più autorevoli fino a quando gli strumenti
della fisica moderna, come il telescopio, non rilevarono i complessi aspetti
dell'Universo.
Aristotele teorico della tragedia
L’anima (psyche)
Aristotele
attribuisce una sostanziale importanza anche alla psiche, alla quale dedica un'intera opera: L'anima. Per Aristotele
l'anima non è solo causa formale e motrice del vivente ma anche causa finale e
quindi condizione primaria del finalismo immanente del mondo della vita. Le
piante e gli animali si attuano inconsciamente per l'universale, per la
continuità della specie e per la conservazione della loro forma. L'uomo vive
consapevolmente per l'universale, valorizza la vita sino ai più alti livelli di
attività. L'anima è l'essenza o forma sostanziale del vivente, e le facoltà
forme accidentali. La definizione dell'anima come sostanza in quanto forma,
significa che l'anima, in generale, non è sostanza in sé e per sé ma forma del
vivente. Essa non è
altro che una forma di un corpo vivente, la struttura funzionante di un
organismo biologico. Corpo e anima stanno nello stesso rapporto di materia e
forma, potenza e atto, organo e funzione.
RIFLESSIONI
di don Claudio Crescimanno
Noi viviamo una realtà
ed una prospettiva psicologica completamente diversa da quella di 2.300 anni fa
dove si parla di Dio in un senso laico, cioè non legato ad una confessione o ad
un credo religioso.
Per noi Dio non è
argomento culturale, è un argomento religioso che poi si carica di una serie di
connotazioni, morali, sociali, politiche e ideologiche che non c’entrano nulla
con la Scienza, il Pensiero e la Vita, del più grande uomo di pensiero
dell’antichità.
Partiamo dalle cose
che sono degli “esistenti”, ci sono, esistono pur essendo diversissime fra di
loro, ma hanno in comune questa caratteristica: ci sono. Li chiamiamo “enti”. C’è una qualità per esistere che
differenzia le cose. Giudichiamo la loro esistenza con un valore di diversa
qualità. Mio figlio è diverso dal mio cane e il mio cane è diverso dal mio
ombrello, però mio figlio vale di più del mio cane e il mio cane vale di più
del mio ombrello.
In questa scala
dell’essere in cui tutti gli elementi partecipano chi trovo al di sopra di
tutti? Trovo quell’essere che è la sorgente dell’esserci di tutti gli enti e lo
chiamo essere perché è alla sorgente, all’origine di tutti coloro che in una
qualche modo partecipano dell’essere perché ci sono. In qualche modo tutti loro
partecipano di lui anche se non lo sanno.
Perché esiste qualcosa e non il nulla è il punto di partenza di tutto il nostro
lavoro: è il problema dell’essere. Questo è il motore di tutto il pensiero
occidentale. Il problema dell’essere raggiunge la sua comprensione con
Aristotele.
Le cose ci sono. Sono
quel che sono. Hanno in se stesse un principio di stabilità e di identità, ma
possono anche cambiare, c’è un equilibrio fra la loro stabilità, la loro
identità, la loro possibilità di cambiare e trasformarsi, di nascere e di
corrompersi, di mutare forma e materia. Ciò che le contiene è una specie di
mare che le comprende tutte e che è l’essere per eccellenza e che Aristotele chiama
Dio.
Questo Dio è il
movente non mosso, colui che tutto muove, all’interno del quale avvengono tutte
le mutazioni di cui noi facciamo esperienza ma che non lo contagiano essendo
lui l’origine. Dio è atto puro.
Platone dirà, alla
conclusione del suo filosofare, e che poteva dire altrettanto il suo discepolo
Aristotele, che più in là di così non si può andare per capire il mondo, a meno
che Dio stesso si riveli a noi e venga a spiegarci ciò che da soli non
riusciamo a raggiungere.
La parola rivelazione e l’idea o la speranza che
un Dio venga a spiegarci chi è e chi siamo, nasce con Platone e poi con
Aristotele.
La teologia filosofica
o meglio la teodicea (teologia razionale, teologia naturale), che prescinde da
qualunque rivelazione, vede la presenza di Dio come atto puro.
Atto puro = pienezza di tutte le qualità, di tutte le capacità, di
tutte le perfezioni a tal punto che non è più in potenza, cioè non ha più la
possibilità di diventare altro, di perfezionarsi ulteriormente. Non c’è più nulla
da aggiungere. Per questo si chiama immobile perché esclude il portarsi verso
qualcos’altro. All’atto puro non manca nulla. È l’insieme di tutte le
perfezioni e ci attrae per questo.
Noi invece ci muoviamo
sempre verso qualcosa che pensiamo migliore o più appetibile di ciò che
abbiamo, siamo sempre in moto, desideriamo sempre qualcosa, ci agitiamo sempre
per qualcosa
Il Bene, il bello, il
buono, il giusto sono tali quando tendono al Bene perfetto, al buono perfetto,
al bello perfetto, al giusto perfetto che è Dio.
La metafisica: base della teologia cristiana
di Monsignor Antonio Livi
Nella stragrande maggioranza dei seminari, così
come nelle università teologiche, nonché dalle cattedre episcopali, viene
insegnato che la metafisica tomista è superata, perché ha un concetto dell’uomo
come di un “animale razionale”. La “svolta antropologica”, invece, avrebbe
restituito alla persona umana la dignità che le compete: essere il centro
dell’universo.
Chi dice cose di questo tipo dimostra una sconfinata ignoranza
delle cose di cui parla. In realtà, la dignità dell’uomo è stata difesa e
attuta nella prassi sociale proprio dalla teologia cristiana, che ha elaborato
già nell’età patristica l’originale e feconda nozione dell’uomo come “persona”. E questa preziosa nozione è
di natura schiettamente metafisica, tant’è che coloro che la mettono da parte
non hanno più argomenti per difendere la vita dalla prassi abortista e dalle
leggi che la giustificano. Senza metafisica tutte le opinioni, anche le più
assurde, sul nascituro sembrano convincenti e ammissibili, tanto che di fatto
sono ammesse dalla cultura dominante. Quanto alla “svolta antropologica”, essa
in realtà ha solo tolto alla teologia la nozione di Dio come creatore e
redentore dell’uomo, facendo credere a qualche sprovveduto che è l’uomo e non
Dio l’autore della legge morale.
«Vera e falsa teologia. Come distinguere
l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”» (Casa Editrice Leonardo
da Vinci, Roma 2012).
La
“nouvelle théologie” è vera o falsa teologia?
La “nouvelle théologie” comprende studiosi e opinioni teologiche
molto diverse. Alcune di queste opinioni sono state severamente condannate da
Pio XII nell’enciclica Humani
generis (1950). Altre sono
state accettate dal magistero ecclesiastico, ma sempre come opinioni, che
restano legittime nella misura in cui non escludono fanaticamente le opinioni
diverse (ad esempio quelle della benemerita e sempre valida scuola tomistica).
Autori di teorie
teologiche false
Facciamo alcuni nomi: Pierre Teilhard de Chardin, Karl Rahner, Edward Schillebeeckx,
Bernhard Häring, Johann Baptist Metz e Hans Küng sono tutti autori di teorie
teologiche false, in quanto contrarie allo spirito e talvolta anche alla
lettera del dogma cattolico. Le loro opere sono tutte espressioni della
medesima filosofia religiosa di stampo immanentistico e progressistico, anche
se ciascuno di essi ha lavorato in campi diversi.
Autori di teorie
teologiche vere
Di Henri de Lubac, Jean Daniélou, Hans
Urs von Balthasar, John Courtney Murray, Yves Congar, Dominique Chenu, Edward
Schillebeeckx, Louis Bouyer, Bernhard Häring si può dire che sono teologi seri, autori di opere importanti,
anche se alcuni di loro hanno aderito talvolta a correnti di pensiero di
orientamento fideistico. Ci sono poi altri nomi da ricordare tra i veri
teologi, ad esempio lo svizzero Charles Journet e naturalmente l’eccezionale Joseph Ratzinger.
"Falsi profeti" e "cattivi maestri"
Il criterio cattolico per discernere il vero profeta dal falso
profeta e il buon maestro dal cattivo maestro è la fedeltà al dogma cattolico.
Già san Paolo ammoniva i primi cristiani: «Se
qualcuno propone un Vangelo diverso da quello che io vi ho annunciato, non
unitevi a lui!». L’unico Maestro è Gesù, come Egli stesso ha formalmente
dichiarato. Poi Gesù ha voluto affidare la rivelazione dei misteri della
salvezza agli Apostoli, dicendo: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza
voi disprezza me». Quindi, noi cattolici
dobbiamo dare retta sempre e soltanto al magistero della Chiesa, ossia alla
dottrina degli Apostoli e dei loro successori, una dottrina che costituisce una
catena ininterrotta di fedele trasmissione degli insegnamenti e dei
comandamenti di Cristo Maestro. Quando sentiamo teologi o “santoni” che
criticano il magistero della Chiesa (quello solenne dei concili ecumenici e
quello ordinario dei Papi), e propagandano una nuova Chiesa «senza dogmi e
senza magistero», possiamo essere certi che si tratta di “cattivi maestri”.
Dobbiamo evitare di diventarne discepoli, e se possiamo sarà bene anche
dissuadere gli altri dal credere che siano davvero la “voce dello Spirito”. Non
occorre parlar male di nessuno: basta chiarire che ci sono forti e fondati
motivi per credere al magistero della Chiesa, che sappiamo essere assistito
infallibilmente dallo Spirito Santo, mentre non c’è assolutamente alcun motivo
per credere a quelle persone, quale che sia l’appoggio del quale godono da parte
dei mass media.
Un esempio: Enzo Bianchi si presenta come il priore della Comunità
di Bose, che molti cattolici ritengono essere un nuovo ordine monastico, mentre
canonicamente non lo è, perché non rispetta le leggi della Chiesa sulla vita
comune religiosa. Molti cattolici lo ritengono un maestro di spiritualità, un
novello san Francesco d’Assisi capace di riproporre ai cristiani di oggi il
Vangelo “sine glossa” (cioè senza l'interpretazione di parole difficili
con altre più comprensibili, ma non sicure). Nei suoi
discorsi la Scrittura non appare come Parola di Dio custodita e interpretata
dalla Chiesa ma solo come un espediente retorico per propagandare un umanesimo
che vuol passare per cristiano ma che sostanzialmente è ateo.
Un segnale chiaro è il favore con
cui è accolto da certa stampa.
Papa
Francesco tra entusiasmo e perplessità
Il personalissimo pontificato di papa Francesco fatto più di gesti che di magistero, entusiasma molti, ma lascia perplessi altrettanti. Alcuni poi dicono che è forse il primo vero “papa del Vaticano II”.
Io
non direi che l’attuale pontefice sia «il primo vero papa del Vaticano II».
Stando alla realtà, ossia ai criteri dettati dalla dottrina teologica, il
Vaticano II è stato fedelmente e pienamente attuato già dagli insegnamenti e
dalle decisioni pastorali di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.
Non ha alcun senso affermare il contrario (come fanno i falsi teologi come Hans
Küng e i cattivi maestri come il cardinal Martini* nei suoi ultimi anni di vita).
Papa Francesco, quando ha parlato come maestro della fede, non ha mai
contraddetto i suoi predecessori. I suoi due unici documenti dottrinali (l’enciclica
Lumen fidei e l’esortazione
apostolica Evangelii gaudium) non
contengono alcun insegnamento in contrasto con quelli di Giovanni Paolo II e di
Benedetto XVI. Se poi si vuole parlare di gesti e discorsi che non impegnano in
alcun modo l’infallibilità, e quindi non vincolano in coscienza i fedeli
cattolici, tutti sono liberi di commentarli positivamente o negativamente, ma
sempre però con il dovuto rispetto. Io raccomando a tutti di usare meglio il poco
tempo che abbiamo a disposizione dedicandoci soprattutto a conoscere, ad amare e a vivere
sempre di più la nostra santa fede cattolica e i comandamenti divini, meditando
la Sacra Scrittura e prestando attenzione ai documenti del Magistero,
compendiati nel Catechismo della Chiesa Cattolica e lasciar perdere le
chiacchiere come continua ad esortarci Papa Francesco.
Il
Relativismo etico del Card. Martini
Riportiamo qui
alcune della affermazioni del cardinale Martini che sono state giudicate occasione
di infiltrazione del relativismo etico nella Chiesa e di critica al Papa e ai
suoi principi non negoziabili, con l’aggravante che provengono da un cardinale
che per molto tempo è stato vero maestro ed esempio di fedeltà alla dottrina e
alle sacre scritture e che ci ricorda “il
fumo nel tempio” di Eugenio Corti ed. Ares (cioè il Demonio che insidia la
Chiesa descritto dal Beato Paolo VI).
"Siccome credo nella vita eterna, su quella
temporale, fisica, di questa terra, posso transigere, sfumare, variare
a seconda dei tempi, della storia, delle culture, e alla fine il nascere e
morire sono misteri sui quali ciascuno può
e deve giudicare secondo
la propria sensibilità. Contro un'etica non negoziabile della vita, dal
concepimento alla morte naturale, c’è il relativismo cristiano della libertà
che decide". (Card. Carlo
Maria Martini).
"Io ritengo che la famiglia vada difesa perché è veramente quella
che sostiene la società in maniera stabile e permanente e per il ruolo
fondamentale che esercita nell'educazione dei figli. Però non è male che, in
luogo di rapporti omosessuali occasionali, che due persone abbiano una certa
stabilità e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli".(Card. Carlo Maria Martini).
Anche qui il
plauso di certa stampa a queste affermazioni ci deve mettere in guardia.
La metafisica: fondamento
della dottrina sociale della Chiesa di R. De Mattei
La terza enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate, del 29 giugno 2009, è stata oggetto di svariati commenti e
interpretazioni, generalmente basati sull’estrapolazione di alcuni passi, piuttosto
che sulla lettura complessiva del documento.
Ciò è ancora più vero per i documenti del Magistero pontificio, che devono essere interpretati alla luce della tradizione, e non della sua negazione.
È in questa prospettiva che va letta l’enciclica di Benedetto XVI
sulla dottrina sociale, che ripropone il tradizionale primato della carità
sulla giustizia, messo in discussione nel 1967 in occasione dalla Popolorum
Progressio di Paolo VI.
La Teologia della Liberazione che si affermò negli anni successivi
fu una delle espressioni più radicali di questa immersione del Regno di Dio
nella storia umana in nome dei principi secolarizzati di “Pace e
Giustizia”.
Il Papa afferma ora con chiarezza che «la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa» (n. 2) e costituisce «il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici».
Il Papa afferma ora con chiarezza che «la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa» (n. 2) e costituisce «il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici».
È importante notare come la carità a cui si richiama Benedetto XVI
si radica nella verità, perché «un Cristianesimo di carità senza verità può
venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la
convivenza sociale, ma marginali» (n.4).
La dottrina sociale della Chiesa è dunque «Caritas in veritate in re sociali»: annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società.
La dottrina sociale della Chiesa è dunque «Caritas in veritate in re sociali»: annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società.
Tale dottrina «è servizio della carità, ma nella verità» (n.5).
«Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore
diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio
dell’amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle
opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a
significare il suo contrario» (n.3).
Anche la giustizia è naturalmente presente nel documento
pontificio. Essa non solo non è una via alternativa o parallela alla carità, ma
è inseparabile da essa (n.6).
Tuttavia «La carità eccede la giustizia, perché amare è donare,
offrire del “mio” all’altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a
dare all’altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in ragione del suo essere e
del suo operare» (n.6).
In questo senso, al concetto di carità si collega quello di dono.
«La carità è amore ricevuto e donato» (n.5).
Nella giustizia rendiamo al prossimo ciò che è suo, mentre nella
carità gli doniamo ciò che è nostro.
Nei confronti dell’enciclica di Paolo VI, Benedetto XVI ha una
posizione analoga a quella assunta nei confronti del Concilio Vaticano II: essa
va recuperata interpretandola alla luce della Tradizione. Il Papa sottolinea
come la Populorum progressio è in grado di parlare ancora a noi, solo se
«inserita nella grande corrente della Tradizione» (n.12).
Per comprendere il significato e il ruolo dello sviluppo di cui
parlava Paolo VI, «il corretto punto di vista, dunque, è quello della
Tradizione della fede apostolica, patrimonio antico e nuovo, fuori del quale la
Populorum progressio sarebbe un documento senza radici e le questioni dello
sviluppo si ridurrebbero unicamente a dati sociologici» (n.10).
L’enciclica di Benedetto XVI si richiama apertamente alla Humanae Vitae (1968)
dello stesso Paolo VI affermando che i problemi toccati in quest’ultimo
importante documento non riguardano la morale meramente individuale, ma
concernono i «forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale»
(n.15).
Il Papa è consapevole del fatto che l’incremento demografico non
produce povertà, ma ricchezza. L’apertura moralmente responsabile alla vita è
dunque una ricchezza sociale ed economica (n.44) ed è al centro del vero
sviluppo (n.28).
Per questo gli Stati sono stati chiamati a varare politiche che
promuovano la centralità e l’integrità della famiglia, «fondata sul matrimonio
tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società» (n.44).
Benedetto XVI sottolinea quindi il valore positivo del mercato e dell’impresa, che però deve essere fortemente ancorata all’etica. È certamente vero che il mercato può essere orientato in modo negativo, perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso, ma questa non è la sua natura (n.36).
Benedetto XVI sottolinea quindi il valore positivo del mercato e dell’impresa, che però deve essere fortemente ancorata all’etica. È certamente vero che il mercato può essere orientato in modo negativo, perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso, ma questa non è la sua natura (n.36).
Il mercato è uno strumento: ciò che deve essere chiamato in causa
non è esso, ma l’uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità
personale e sociale (n.36).
Rispondere alle esigenze morali più profonde della persona ha
anche importanti e benefiche ricadute sul piano economico. «L’economia infatti ha bisogno dell’etica
per il suo corretto funzionamento»; non di un’etica qualsiasi, bensì di
un’etica amica della persona (n.45).
Per molti economisti la difesa della libertà economica si unisce
con una assoluta libertà in campo morale. In campo liberale, ad esempio, molti
sono a favore della liberalizzazione della droga, dell’aborto e di ogni
sperimentazione nel campo della bioetica.
Per chiarire bene questo punto, Benedetto XVI afferma che «la
questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica» (n.75) nel
senso che essa implica «il modo stesso di concepire la vita umana, minacciata
dalle tecniche di manipolazione genetica e dalla “mens eutanasica”. Non si
possono minimizzare – egli afferma – gli scenari inquietanti per il futuro
dell’uomo e i potenti strumenti che la cultura della morte ha a disposizione»
(n. 75).
Infine un’affermazione ricca di profonde conseguenze: Dio deve
trovare un posto «anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle
dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica» (n.56). «Senza Dio l’uomo non sa dove andare e
non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia» (n. 78).
Su questa base metafisica si fonda la dottrina sociale della
Chiesa, che a sua volta fa parte della sua filosofia morale. Il rispetto della
legge morale e sociale che la Chiesa custodisce risolverebbe tutti i problemi
che oggi affliggono l’umanità.
Si tratta di princìpi basilari che per molti anni erano stati
accantonati ed è estremamente importante che Benedetto XVI ne ribadisca oggi
l’attualità.
© Copyright (Radici Cristiane n. 47 - Ago/Set 2009).
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