lunedì 10 aprile 2017

1t - 7 - Aristotele e la Metafisica

Le Slides e la Dispensa


















































Aristotele (Stagira 384-83 a. C. - Calcide 322 a. C.).
« ’l maestro di color che sanno seder tra filosofica famiglia. »
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, IV, 131-132)

Discepolo di Platone, è considerato una delle menti filosofiche più innovative, prolifiche e influenti del mondo antico occidentale per la vastità dei suoi campi di conoscenza; fu stimato per secoli come l'emblema dell'uomo sapiente e come precursore di scoperte.

Aristotele ama recuperare tutta la realtà del sensibile e per questo critica la dottrina delle IDEE e dell’IPERURANIO di Platone. Le IDEE che per Platone stanno nell’IPERURANIO, fuori dalla realtà oggettiva,
Per Aristotele invece, la FORME, le IDEE, le ESSENZE, stanno nelle cose stesse. Se le IDEE sono le FORME delle cose, la FORMA fa si che quella cosa sia ciò che è. Queste FORME non possono stare da un’altra parte, in un’altra sfera di realtà, ma debbono stare nella cosa stessa.

Il tempo storico di Aristotele


Sebbene gli anni che separano Platone e Aristotele siano relativamente pochi, tra i due periodi si notano cambiamenti sostanziali soprattutto per quanto riguarda le pòlis greche.

Alessandro Magno, il Macedone, di cui Aristotele fu il precettore, in soli dodici anni conquistò l'intero Impero Persiano, dall'Asia Minore all'Egitto. Si impegnò ad unificare le diverse etnie e culture delle terre conquistate, prima quella Greca con quella Macedone, poi quella Ellenica e Persiana.
Le sue vittorie sul campo di battaglia, furono accompagnate da una diffusione universale della cultura greca e dalla sua integrazione con elementi culturali dei popoli conquistati, diedero l'avvio al periodo ellenistico della storia greca.
A causa però della pressione macedone, le pòlis greche entrarono in crisi, e i cittadini greci, abituati a partecipare attivamente alla vita politica del proprio paese, vedendo il governo in mano ad altri, se ne allontanarono sempre più.

La vita

Aristotele nacque a Stagira nel 384 a.C. A 17 anni entrò a far parte della scuola di Platone, e continuò ad essere allievo di questo per altri 20; ovviamente la formazione del pensiero di Aristotele avvenne completamente sotto l'influenza di quello di Platone. Tuttavia, il pensiero e la critica di Aristotele risultano differenti da quelli del suo maestro. Alla morte di quest'ultimo, Aristotele lasciò la scuola e si trasferì ad Asso.
Qui, assieme ad altri due allievi di Platone, fondò una piccola comunità platonica e sposò Pitia. Nel 342a.C. venne convocato dal Re macedone che gli affidò l'educazione del proprio figlio Alessandro; a quest'ultimo Aristotele comunicò la propria convinzione della superiorità della cultura greca che, assieme ad un governo forte ed unitario, gli avrebbe permesso di dominare tutto il mondo.
Tuttavia Alessandro preferì istituire un governo secondo il modello dei governi orientali. Aristotele allora si allontanò da lui.
Dopo 13 anni ritornò ad Atene e qui nel 335 a. C. fondò la sua scuola. Era questa collocata nella stessa area del santuario dedicato ad Apollo Licio, chiamato per questo motivo Liceo.
Il Liceo, oltre l'edificio e il giardino, comprendeva la passeggiata lungo dei colonnati, per questo chiamata anche scuola peripatetica (peripatoi "colonnati"). In questa scuola, Aristotele e gli scolari più anziani, seguivano dei corsi regolari mattina e pomeriggio. Nel 323 a.C., dopo la morte di Alessandro, la vita di Aristotele venne messa in pericolo dalle insurrezioni del partito nazionalista e, perciò, Aristotele si rifugiò a Calcide. Qui, un anno dopo morì per una malattia allo stomaco.

Gli scritti esoterici

Conosciamo Aristotele attraverso gli scritti esoterici: appunti suoi privati che gli servivano per preparare le sue lezioni al circolo per una piccola cerchia di suoi discepoli. Sono invece andate in gran parte perdute le sue opere essoteriche quelle cioè che erano destinate al pubblico. Aristotele si è occupato davvero di tutto e in modo sistematico; ha classificato tutte le scienze possibili e immaginabili e le ha suddivise in tre grandi settori:

Sono così chiamate quelle scienze che studiano le cose necessarie che sono come devono essere  e non possono essere diverse da come sono e che si studiano per il gusto di sapere (un sapere disinteressato) e che sono la Filosofia prima (chiamata poi Metafisica), la Fisica e la Matematica.
Ricordiamo qui che invece Platone aveva uno scopo politico, non teneva in grande considerazione la Physis, la Fisica, ma gli importava il mondo delle Idee.

Studiano il possibile, anche se non necessario, ed hanno come scopo l’orientamento dell’agire e sono l’Etica e la Politica. Scienze che si studiano per l’agire.

Chiamate anche Scienze produttive, hanno come scopo la produzione di opere e sono le Belle Arti, la Poesia e le Tecniche.


La Metafisica


La Metafisica quindi è per Aristotele una scienza teoretica, ma per capirla bene dobbiamo percorrere il passaggio da Parmenide a Platone e quindi ad Aristotele.

Confronto fra Parmenide, Platone e Aristotele

 Parmenide aveva bloccato la ricerca dell’essere perché lo considerava come un monolite affermando che solo l’Essere è (esiste) e ogni determinazione sensibile è illusoria, è pura parvenza, inganno dei nostri sensi. Tanto più il movimento, la molteplicità degli esseri, il divenire delle cose non possono esistere e fanno parte del “non è”. L’Essere è unico, immutabile ed eterno.


Platone, nella sua opera “il sofista” distingue due significati del non essere: il non essere è il contrario dell’essere, cioè il diverso dall’essere (una sorta di non essere relativo).

·         L’Essere ideale e quello sensibile sono molteplici.
·         Il mondo sensibile resta comunque qualcosa di ambiguo. È visto come il regno dell’opinione, delle ombre dove non c’è scienza.
·         Solo il regno delle idee è scienza e per questo eleva l’uomo e lo fa diventare filosofo.


Aristotele invece afferma che tutte le cose ad ogni livello sono qualcosa, tutto ciò che esiste è qualcosa ed essendo qualcosa si può studiare. Cioè ci ricollega o ci riconcilia con la realtà dando ad essa dignità.

Affermazioni di Aristotele

 ·         Le determinazioni (ciò che circoscrive, definisce e indica con precisione qualcosa) sono enti
·         L’essere si può usare in diversi “sensi” o “significati”, tutti comunque legati fra loro.
Cioè:
·         L’essere non è un termine “univoco” con un unico e solo significato (Parmenide)
·         L’essere non è un termine “equivoco” ma un termine con diversi “sensi” o “significati” legati fra loro. È un termine  polivoco =  Essere con molti significati

Per esempio un termine univoco è l’animale che lo posso attribuire alle diverse tipologie di animali. Un termine polivoco è invece “cane”, che posso usare per indicare l’animale cane, la costellazione del cane, una persona particolarmente cattiva o incapace o incompetente, il percussore di una pistola, ecc. Il legame che esiste fra loro sta nella loro forma che richiama quella del cane, o nel comportamento che richiama quello di un cane malvagio.
Per Platone il mondo delle idee sta nell’Iperuranio, per Aristotele l’idea sta nelle cosa stessa.

Questa “Filosofia prima”, come la chiamava Aristotele prima che  prendesse il nome di Metafisica, è una scienza teoretica che affrontiamo per il gusto di sapere senza scopi necessariamente utilitaristici e che studia: le cause e i principi primi, l’essere in quanto essere, la sostanza e Dio e la sostanza immobile.


La Metafisica non studia una parte dell’essere, come fa per esempio la matematica che si occupa dell’aspetto numerico della realtà, ma studia l’essere in quanto essere, cioè di tutte quelle caratteristiche che danno ragione delle cose, in quanto cose.

La Metafisica studia le caratteristiche che tutti gli enti debbono avere in quanto esistono. Studia l’esistere, studia l’essere in quanto tale. Questo ci fa prendere in considerazione il fatto che la Metafisica è molto meno trascendente di quello che si pensa, perché è molto più legata alla Physis e a ciò che esiste davvero anche se non lo vedo.

Vari significati dell’essere:


L’essere come CATEGORIE (in greco – predicato, ciò che si predica o si dice delle cose).
Sono le caratteristiche fondamentali e strutturali dell’essere, cioè come l’essere si presenta a noi. Sono delle determinazioni generalissime che ogni essere o ente ha e che non può fare a meno di avere. Sono i modi basilari in cui la realtà si presenta a noi. A noi la realtà si presenta organizzata in categorie, cioè in un tempo, in un luogo e con delle qualità.

CATEGORIA
ESEMPIO
Sostanza o essenza (il soggetto)
Aristotele
Qualità
Vecchio
Quantità
Alto 4 cubiti
Relazione
Più dotto di Socrate
Azione o agire
Dibatte
Passione o patire 
Colpito da un raggio di sole
Dove o luogo
Nel Liceo
Quando o tempo
Nel IV se. a.C.
Avere
Abbigliato di bianco
Essere in una posizione o giacere
In piedi

Le categorie sono i modi fondamentali dell’essere o delle cose. Le cose sono strutturate secondo le categorie. Tutte queste categorie sono comunque sempre riportate ad una sorta di super categoria che è la Sostanza.

La Sostanza

È innegabile che una cosa o un essere sia in un luogo in un certo tempo, abbia una dimensione, faccia qualcosa, ecc., ma è indubbio che esiste ed abbia una Sostanza di cui tutte queste cose sono accessori importanti, ma non determinanti.
Tutte le categorie si rifanno alla Sostanza.


la Sostanza è la base di tutto. Sostanza è l’ente, ciò che mi sta davanti, ciò che è. Il termine deriva dal greco Ousia, e in italiano potrebbe essere tradotto in “essente”, participio presente del verbo essere. Anche il termine greco Hypokéimenon = ciò che sta sotto resistendo e sorreggendo e che ha il corrispondente latino: sub-stantia ci aiuta a capire.

Cos’è allora la Sostanza?


Cioè il soggetto a cui posso dare significati reali vestendolo degli attributi o accidenti che lo caratterizzano (colore, sapore, dimensione, peso, comportamento, luogo, ecc.).


Quindi per Aristotele le idee non possono stare altrove rispetto alla materia, ma sono un tutt’uno con essa. Questo tutt’uno è un Ente Autonomo che ha vita propria.

Aristotele poi chiama Sostanza anche la Forma affermando che la Sostanza è sia l’essere dell’essenza (sinolo), sia l’essenza dell’essere (forma). Ma in estrema sintesi la Sostanza è l’unione indissolubile di Materia e Forma. La statua di bronzo di Aristotele o del Dio Ares rappresenta una unione indissolubile fra Materia e Forma, una non potrebbe esistere senza l’altra.

Un esempio di applicazione di questo concetto di Sostanza di Aristotele lo si ha in Teologia per spiegare l’Eucarestia.
In Teologia, transustanziazione o transubstanziazione (lat. trans-substantiatio) è il termine per indicare la conversione:
che avviene, durante la celebrazione eucaristica, dopo la pronuncia delle parole della consacrazione nella preghiera eucaristica.
Prima e dopo la Consacrazione visibilmente e chimicamente non cambia nessuno degli attributi o accidenti del pane e del vino, cambia solo la sostanza che non è più quello del pane e del vino, ma diventa il corpo e il sangue di Cristo.

Il principio di non contraddizione


Altro importante contributo della Metafisica è il principio di non contraddizione. Ci fa osservare che noi non possiamo dire, nello stesso tempo, che una cosa è e contemporaneamente non è, cioè che sia e nello stesso tempo non sia. Aristotele afferma che la metafisica deve auto-costituirsi in analogia con le altre scienze: così come le scienze spogliano le cose da tutti quei caratteri diversi da quelli che esse prendono in considerazione (ad esempio il matematico spoglia le cose di tutte le qualità sensibili, per ridurle alla sole quantità), allo stesso modo la filosofia deve ridurre tutti i vari significati di “essere” ad un unico significato, poiché la filosofia non studia i vari aspetti dell'essere, ma l’essere in quanto tale. Per procedere in questo modo, la filosofia ha bisogno del principio di non contraddizione.
Esempio: non si può affermare contemporaneamente “l'uomo è un animale ragionevole” e “l'uomo non è un animale ragionevole”; una delle due affermazioni e necessariamente falsa, l'altra necessariamente vera.
Esempio: se l'uomo è un animale ragionevole, ad ogni uomo bisogna riconoscere la natura di animale ragionevole; e se si nega che qualcuno lo sia (ragionevole), allora si deve dire che non è un uomo. In questo modo, il principio di non-contraddizione significa che ogni essere ha una natura determinata che non gli si può negare; tale natura, quindi, è necessaria.
Aristotele, appunto, chiama “sostanza” la natura necessaria di un essere qualsiasi. La sostanza è pertanto l' equivalente ontologico del principio logico di non-contraddizione. In altri termini la sostanza è l'essere dell'essere; in questo modo il problema dell'essere si concretizza nel problema della sostanza, ed è proprio quest'ultimo il compito della metafisica.

Conoscenza delle cause

  Aristotele individua quattro cause per spiegare ciò che esiste.

Cause che spiegano le cose nella loro staticità

1.   La Causa Materiale. La causa che spiega un oggetto è la materia della quale è costituito. Materiale di una statua di bronzo è il bronzo, ma il bronzo da solo non spiega la cosa.
2.   La Causa Formale. La Forma è un’altra causa che spiega l’oggetto. La forma ci dice che quella statua rappresenta Giove.

Cause che spiegano il divenire

3.   La Causa Efficiente. Da dove viene l’oggetto? Dal suo fabbricatore o realizzatore, nel caso della statua dallo scultore. Di un figlio la causa efficiente sono i genitori, di un uovo è la gallina.

4.   La Causa Finale. Per quale scopo l’oggetto è stato fatto? La statua per esporla in pubblico per la devozione popolare, il figlio per un sentito bisogno e dovere di perpetuare la vita, l’uovo per soddisfare un bisogno di alimentazione, ecc.

La dottrina del divenire

Il divenire non è un passaggio dall’essere al non essere di Parmenide, ma è un passaggio da un certo tipo di essere ad un altro.

1.   Movimento locale. Cambiamento di luogo. Passo un libro da uno scaffale ad un altro. Prima era in un “dove” poi è in un altro “dove”, ma la sostanza non cambia.

2.   Movimento qualitativo. Cambiamento di una caratteristica qualitativa. Mi cominciano a spuntare capelli bianchi e passo da una capigliatura nera ad una brizzolata.

3.   Movimento quantitativo. Cambiamento di una dimensione. Faccio una cura dimagrante e passo da un peso corporeo ad un altro.

4.   Movimento sostanziale. Cambiamento della sostanza. Quando una cosa diventa qualcos’altro, questo passaggio non può essere dall’essere al non essere. Ma da ciò che era potenzialmente a ciò che ora è.



Dottrina della Potenza e dell’Atto

Aristotele per spiegare il movimento sostanziale introduce qui i concetti di Potenza e Atto. Un tronchetto di legno che arde nel camino è potenzialmente un pezzo di carbone. Il legno che diventa carbone ha cambiato di sostanza. Il fuoco che fa diventare carbone il pezzo di legno è l’atto che origina il cambiamento, senza questo il legno rimarrebbe legno. L’atto è l’incendio del legno che permette il suo cambiamento sostanziale. L’atto quindi presume un agente esterno che innesca il cambiamento. Il fuoco in atto ha consentito il cambiamento.

Il genio di Collodi ci può spiegare che il pezzo di legno che Geppetto si porta via da mastro Ciliegia è potenzialmente un burattino. Diventa però Pinocchio grazie all’intervento del bravo falegname Geppetto.


Potenza: la possibilità da parte della materia di assumere una determinata forma
Atto: la realizzazione di tale capacità. Chiamato anche “entelechìa”, cioè realizzazione, perfezione attuata.

L’esistenza di Dio


Se esiste il movimento, e abbiamo capito che esso è un passaggio dalla Potenza all’Atto, ci deve essere qualcosa che muove dall’esterno. Possiamo cercare le cause del movimento all’indietro, ma non potendo pensare di andare a ritroso all’infinito dobbiamo immaginare un qualcosa che spieghi il muoversi del mondo. Qualcosa o qualcuno che muove il tutto senza muoversi e che è il riferimento di tutto, pena il caos. Questo motore che muove stando fermo, chiamato “motore immobile”, è Dio.

Dio è motore immobile in quanto è la causa finale di tutte le cose e tutte le cose tendono a lui. Il motore immobile si muove solo per causa finale perché è un qualcosa pienamente in atto (cioè un qualcosa che è). Se il motore immobile si muovesse per causa efficiente non sarebbe atto, bensì potenza (cioè qualcosa che non è, ma potrebbe essere).
In quanto motore immobile, Dio è eternamente in atto e felice, non si cura degli uomini, perché, se fosse vero il contrario, ciò è causa di preoccupazioni, ma se Dio è preoccupato non sarebbe Dio, poiché è eternamente felice.

Quindi per Aristotele:

v  Dio è atto puro (perché non può diventare qualcos’altro, non può essere potenza e poter diventare qualcos’altro)
v  Dio è pura Forma (senza materia)
v  Dio è sostanza incorporea
v  Dio è causa finale di tutto
v  Dio è pensiero di pensiero (pensa a se stesso, perché pensare qualcos’altro vorrebbe dire cambiare)
v  Dio è oggetto d’amore. Centro di attenzione e di perfezione assoluta, come l’amore che attira a sé l’amante. È oggetto d’amore, ma lui non ama nulla.

La filosofia secondo Aristotele:  

l'arte del ragionare in modo corretto

Aristotele concepisce la filosofia non tanto come un esercizio di sapienza, bensì un'attività scientifica articolata in un sistema di discipline distinte, e mirante ad abbracciare tutti gli aspetti della realtà. Essa non serve a trasformare il mondo, ma soltanto a comprenderne l'ordine e a giustificarlo così com'è. Il sapere è inteso come la conoscenza delle cause e i principi. Al di sopra di ogni disciplina, ad Aristotele va il merito di aver insegnato la logica, l'arte del ragionare in modo corretto per scoprire la verità delle cose. Prima di lui, quando non si riusciva ad interpretare un fenomeno naturale, si credeva che intervenisse una forza soprannaturale. Egli dimostrò che con il ragionamento si potevano spiegare i fenomeni dell'Universo. Molte sue geniali osservazioni non sono ora più accettabili, in virtù del fatto che egli vi giunse solo con l'aiuto della logica, senza mai sperimentare. Le teorie di Aristotele furono considerate le più autorevoli fino a quando gli strumenti della fisica moderna, come il telescopio, non rilevarono i complessi aspetti dell'Universo.

Aristotele teorico della tragedia

Aristotele è inoltre considerato il principale teorico della tragedia. Nell'antichità greca questo genere drammatico era definito come mimesi, in altre parole imitazione della natura e della vita. Aristotele attribuisce alla mimesi ulteriori e inconfondibili caratteri. Essa non è tanto imitazione della storia, ma del verosimile. Non si tratta di scrivere cose realmente accadute, bensì quelle che potrebbero accadere. Un altro elemento introdotto è la catarsi: la purificazione che la rappresentazione teatrale esercita nell'animo degli spettatori. La natura invece è intesa come un insieme di realtà dotate di autonomia e di una capacità di generare processi finalizzati alla realizzazione di un ordine. Il Dio di Aristotele è il frutto di un'esigenza cosmologica, e non di un bisogno di salvezza. E' la condizione assoluta della vita e del pensiero. Dio inoltre garantisce la stabilità e l'ordine del mondo.

L’anima (psyche)

Aristotele attribuisce una sostanziale importanza anche alla psiche, alla quale dedica un'intera opera: L'anima. Per Aristotele l'anima non è solo causa formale e motrice del vivente ma anche causa finale e quindi condizione primaria del finalismo immanente del mondo della vita. Le piante e gli animali si attuano inconsciamente per l'universale, per la continuità della specie e per la conservazione della loro forma. L'uomo vive consapevolmente per l'universale, valorizza la vita sino ai più alti livelli di attività. L'anima è l'essenza o forma sostanziale del vivente, e le facoltà forme accidentali. La definizione dell'anima come sostanza in quanto forma, significa che l'anima, in generale, non è sostanza in sé e per sé ma forma del vivente. Essa non è altro che una forma di un corpo vivente, la struttura funzionante di un organismo biologico. Corpo e anima stanno nello stesso rapporto di materia e forma, potenza e atto, organo e funzione.

RIFLESSIONI di don Claudio Crescimanno


Noi viviamo una realtà ed una prospettiva psicologica completamente diversa da quella di 2.300 anni fa dove si parla di Dio in un senso laico, cioè non legato ad una confessione o ad un credo religioso.

Per noi Dio non è argomento culturale, è un argomento religioso che poi si carica di una serie di connotazioni, morali, sociali, politiche e ideologiche che non c’entrano nulla con la Scienza, il Pensiero e la Vita, del più grande uomo di pensiero dell’antichità.

Partiamo dalle cose che sono degli “esistenti”, ci sono, esistono pur essendo diversissime fra di loro, ma hanno in comune questa caratteristica: ci sono. Li chiamiamo “enti”. C’è una qualità per esistere che differenzia le cose. Giudichiamo la loro esistenza con un valore di diversa qualità. Mio figlio è diverso dal mio cane e il mio cane è diverso dal mio ombrello, però mio figlio vale di più del mio cane e il mio cane vale di più del mio ombrello.

In questa scala dell’essere in cui tutti gli elementi partecipano chi trovo al di sopra di tutti? Trovo quell’essere che è la sorgente dell’esserci di tutti gli enti e lo chiamo essere perché è alla sorgente, all’origine di tutti coloro che in una qualche modo partecipano dell’essere perché ci sono. In qualche modo tutti loro partecipano di lui anche se non lo sanno.

Perché esiste qualcosa e non il nulla è il punto di partenza di tutto il nostro lavoro: è il problema dell’essere. Questo è il motore di tutto il pensiero occidentale. Il problema dell’essere raggiunge la sua comprensione con Aristotele.
Le cose ci sono. Sono quel che sono. Hanno in se stesse un principio di stabilità e di identità, ma possono anche cambiare, c’è un equilibrio fra la loro stabilità, la loro identità, la loro possibilità di cambiare e trasformarsi, di nascere e di corrompersi, di mutare forma e materia. Ciò che le contiene è una specie di mare che le comprende tutte e che è l’essere per eccellenza e che Aristotele chiama Dio.
Questo Dio è il movente non mosso, colui che tutto muove, all’interno del quale avvengono tutte le mutazioni di cui noi facciamo esperienza ma che non lo contagiano essendo lui l’origine. Dio è atto puro.
Platone dirà, alla conclusione del suo filosofare, e che poteva dire altrettanto il suo discepolo Aristotele, che più in là di così non si può andare per capire il mondo, a meno che Dio stesso si riveli a noi e venga a spiegarci ciò che da soli non riusciamo a raggiungere.

La parola rivelazione e l’idea o la speranza che un Dio venga a spiegarci chi è e chi siamo, nasce con Platone e poi con Aristotele.
La teologia filosofica o meglio la teodicea (teologia razionale, teologia naturale), che prescinde da qualunque rivelazione, vede la presenza di Dio come atto puro.

Atto puro = pienezza di tutte le qualità, di tutte le capacità, di tutte le perfezioni a tal punto che non è più in potenza, cioè non ha più la possibilità di diventare altro, di perfezionarsi ulteriormente. Non c’è più nulla da aggiungere. Per questo si chiama immobile perché esclude il portarsi verso qualcos’altro. All’atto puro non manca nulla. È l’insieme di tutte le perfezioni e ci attrae per questo.
Noi invece ci muoviamo sempre verso qualcosa che pensiamo migliore o più appetibile di ciò che abbiamo, siamo sempre in moto, desideriamo sempre qualcosa, ci agitiamo sempre per qualcosa
Il Bene, il bello, il buono, il giusto sono tali quando tendono al Bene perfetto, al buono perfetto, al bello perfetto, al giusto perfetto che è Dio.

La metafisica: base della teologia cristiana 

di Monsignor Antonio Livi

 (Monsignor Antonio Livi è iniziatore nel Novecento della scuola filosofica del senso comune, la International Science and Commonsense Association e fondatore e direttore della rivista "Sensus communis - International Yearbook of Alethic Logic". Docente, di antropologia, filosofia e di logica, socio ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso, è stato il Decano ed ora è Professore emerito di Filosofia, della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense).

La metafisica non è una specie di  optional per l’intelligenza. Essa è l’essenza stessa della filosofia, in quanto esigenza razionale dell’uomo che desidera orientarsi nel mondo in cui vive e si domanda da dove viene, dove va e che ruolo gli spetta nella vita. La filosofia è ricerca di quella sapienza che è molto più necessaria per l’uomo di quanto non siano le conoscenze tecniche offerte dalle scienze particolari. Questa sapienza l’uomo la trova in sé stesso, inizialmente, nelle certezze fondamentali che costituiscono il “senso comune”, e poi anche nella religione naturale, che è presente in forme diverse in tutte le civiltà. Ma un approccio propriamente scientifico (ossia rigoroso e dimostrativo) ai grandi temi della sapienza è pure necessario, e per questo la civiltà greca classica elaborò una “scienza dell’intero” che è appunto la metafisica. Essa fu ed è tuttora talmente ricca di vera sapienza naturale che il cristianesimo, quando si diffuse nel modo ellenistico, ne fece lo strumento privilegiato dell’interpretazione razionale della verità rivelata. Così nacque la teologia cristiana, che senza metafisica non può esistere, perché i dogmi della Chiesa cattolica - che la teologia è chiamata a interpretare razionalmente - sono tutti formulati in termini metafisici. Lo spiegò molto bene, agli inizi del Novecento, Réginald Garrigou-Lagrange (vedi il suo capolavoro, Il senso comune, la filosofia dell’essere e le formule dogmatiche, trad. it., Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013).
Nella stragrande maggioranza dei seminari, così come nelle università teologiche, nonché dalle cattedre episcopali, viene insegnato che la metafisica tomista è superata, perché ha un concetto dell’uomo come di un “animale razionale”. La “svolta antropologica”, invece, avrebbe restituito alla persona umana la dignità che le compete: essere il centro dell’universo.
Chi dice cose di questo tipo dimostra una sconfinata ignoranza delle cose di cui parla. In realtà, la dignità dell’uomo è stata difesa e attuta nella prassi sociale proprio dalla teologia cristiana, che ha elaborato già nell’età patristica l’originale e feconda nozione dell’uomo come “persona”. E questa preziosa nozione è di natura schiettamente metafisica, tant’è che coloro che la mettono da parte non hanno più argomenti per difendere la vita dalla prassi abortista e dalle leggi che la giustificano. Senza metafisica tutte le opinioni, anche le più assurde, sul nascituro sembrano convincenti e ammissibili, tanto che di fatto sono ammesse dalla cultura dominante. Quanto alla “svolta antropologica”, essa in realtà ha solo tolto alla teologia la nozione di Dio come creatore e redentore dell’uomo, facendo credere a qualche sprovveduto che è l’uomo e non Dio l’autore della legge morale.

 «Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”» (Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012).
La vera teologia è quella scienza che fa un cristiano che crede alla rivelazione divina, formalizzata nei dogmi della Chiesa, e tenta di illustrare razionalmente i contenuti di questa rivelazione, svolgendo così una missione culturale preziosa al servizio della fede di tutti noi. Quando invece uno studioso, cattolico o luterano che sia, prescinde dalla verità della rivelazione divina e mette il dubbio o interpreta arbitrariamente i dogmi della fede, le sue tesi sono mera “filosofia religiosa”. La “filosofia religiosa” si riconosce subito, perché è sempre un discorso ambiguo, spesso soltanto retorico, che tenta di imporre anche ai credenti una sapienza meramente umana, con la pretesa di possedere una conoscenza superiore rispetto alla fede dei “semplici” e persino rispetto al magistero della Chiesa (tecnicamente questo si chiama “gnosticismo”).

La “nouvelle théologie” è vera o falsa teologia?
La “nouvelle théologie” comprende studiosi e opinioni teologiche molto diverse. Alcune di queste opinioni sono state severamente condannate da Pio XII nell’enciclica Humani generis (1950). Altre sono state accettate dal magistero ecclesiastico, ma sempre come opinioni, che restano legittime nella misura in cui non escludono fanaticamente le opinioni diverse (ad esempio quelle della benemerita e sempre valida scuola tomistica).

Autori di teorie teologiche false
Facciamo alcuni nomi: Pierre Teilhard de Chardin, Karl Rahner, Edward Schillebeeckx, Bernhard Häring, Johann Baptist Metz e Hans Küng sono tutti autori di teorie teologiche false, in quanto contrarie allo spirito e talvolta anche alla lettera del dogma cattolico. Le loro opere sono tutte espressioni della medesima filosofia religiosa di stampo immanentistico e progressistico, anche se ciascuno di essi ha lavorato in campi diversi.

Autori di teorie teologiche vere
Di Henri de Lubac, Jean Daniélou, Hans Urs von Balthasar, John Courtney Murray, Yves Congar, Dominique Chenu, Edward Schillebeeckx, Louis Bouyer, Bernhard Häring si può dire che sono teologi seri, autori di opere importanti, anche se alcuni di loro hanno aderito talvolta a correnti di pensiero di orientamento fideistico. Ci sono poi altri nomi da ricordare tra i veri teologi, ad esempio lo svizzero Charles Journet e naturalmente l’eccezionale Joseph Ratzinger.

"Falsi profeti" e "cattivi maestri"
Il criterio cattolico per discernere il vero profeta dal falso profeta e il buon maestro dal cattivo maestro è la fedeltà al dogma cattolico. Già san Paolo ammoniva i primi cristiani: «Se qualcuno propone un Vangelo diverso da quello che io vi ho annunciato, non unitevi a lui!». L’unico Maestro è Gesù, come Egli stesso ha formalmente dichiarato. Poi Gesù ha voluto affidare la rivelazione dei misteri della salvezza agli Apostoli, dicendo: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi disprezza me». Quindi, noi cattolici dobbiamo dare retta sempre e soltanto al magistero della Chiesa, ossia alla dottrina degli Apostoli e dei loro successori, una dottrina che costituisce una catena ininterrotta di fedele trasmissione degli insegnamenti e dei comandamenti di Cristo Maestro. Quando sentiamo teologi o “santoni” che criticano il magistero della Chiesa (quello solenne dei concili ecumenici e quello ordinario dei Papi), e propagandano una nuova Chiesa «senza dogmi e senza magistero», possiamo essere certi che si tratta di “cattivi maestri”. Dobbiamo evitare di diventarne discepoli, e se possiamo sarà bene anche dissuadere gli altri dal credere che siano davvero la “voce dello Spirito”. Non occorre parlar male di nessuno: basta chiarire che ci sono forti e fondati motivi per credere al magistero della Chiesa, che sappiamo essere assistito infallibilmente dallo Spirito Santo, mentre non c’è assolutamente alcun motivo per credere a quelle persone, quale che sia l’appoggio del quale godono da parte dei mass media.
Un esempio: Enzo Bianchi si presenta come il priore della Comunità di Bose, che molti cattolici ritengono essere un nuovo ordine monastico, mentre canonicamente non lo è, perché non rispetta le leggi della Chiesa sulla vita comune religiosa. Molti cattolici lo ritengono un maestro di spiritualità, un novello san Francesco d’Assisi capace di riproporre ai cristiani di oggi il Vangelo “sine glossa” (cioè senza l'interpretazione di parole difficili con altre più comprensibili, ma non sicure). Nei suoi discorsi la Scrittura non appare come Parola di Dio custodita e interpretata dalla Chiesa ma solo come un espediente retorico per propagandare un umanesimo che vuol passare per cristiano ma che sostanzialmente è ateo. Un segnale chiaro è il favore con cui è accolto da certa stampa.

Papa Francesco tra entusiasmo e perplessità

Il personalissimo pontificato di papa Francesco fatto più di gesti che di magistero, entusiasma molti, ma lascia perplessi altrettanti.  Alcuni poi dicono che è forse il primo vero “papa del Vaticano II”.
Io non direi che l’attuale pontefice sia «il primo vero papa del Vaticano II». Stando alla realtà, ossia ai criteri dettati dalla dottrina teologica, il Vaticano II è stato fedelmente e pienamente attuato già dagli insegnamenti e dalle decisioni pastorali di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Non ha alcun senso affermare il contrario (come fanno i falsi teologi come Hans Küng e i cattivi maestri come il cardinal Martini* nei suoi ultimi anni di vita). Papa Francesco, quando ha parlato come maestro della fede, non ha mai contraddetto i suoi predecessori. I suoi due unici documenti dottrinali (l’enciclica Lumen fidei e l’esortazione apostolica Evangelii gaudium) non contengono alcun insegnamento in contrasto con quelli di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Se poi si vuole parlare di gesti e discorsi che non impegnano in alcun modo l’infallibilità, e quindi non vincolano in coscienza i fedeli cattolici, tutti sono liberi di commentarli positivamente o negativamente, ma sempre però con il dovuto rispetto. Io  raccomando a tutti di usare meglio il poco tempo che abbiamo a disposizione dedicandoci  soprattutto a conoscere, ad amare e a vivere sempre di più la nostra santa fede cattolica e i comandamenti divini, meditando la Sacra Scrittura e prestando attenzione ai documenti del Magistero, compendiati nel Catechismo della Chiesa Cattolica e lasciar perdere le chiacchiere come continua ad esortarci Papa Francesco.

Il Relativismo etico del Card. Martini
Riportiamo qui alcune della affermazioni del cardinale Martini che sono state giudicate occasione di infiltrazione del relativismo etico nella Chiesa e di critica al Papa e ai suoi principi non negoziabili, con l’aggravante che provengono da un cardinale che per molto tempo è stato vero maestro ed esempio di fedeltà alla dottrina e alle sacre scritture e che ci ricorda “il fumo nel tempio” di Eugenio Corti ed. Ares (cioè il Demonio che insidia la Chiesa descritto dal Beato Paolo VI).

"Siccome credo nella vita eterna, su quella temporale, fisica, di questa terra, posso transigere, sfumare, variare a seconda dei tempi, della storia, delle culture, e alla fine il nascere e morire sono misteri sui quali ciascuno può e deve giudicare secondo la propria sensibilità. Contro un'etica non negoziabile della vita, dal concepimento alla morte naturale, c’è il relativismo cristiano della libertà che decide". (Card. Carlo Maria Martini).

"Io ritengo che la famiglia vada difesa perché è veramente quella che sostiene la società in maniera stabile e permanente e per il ruolo fondamentale che esercita nell'educazione dei figli. Però non è male che, in luogo di rapporti omosessuali occasionali, che due persone abbiano una certa stabilità e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli".(Card. Carlo Maria Martini).

Anche qui il plauso di certa stampa a queste affermazioni ci deve mettere in guardia.

La metafisica: fondamento della dottrina sociale della Chiesa di R. De Mattei


La terza enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate, del 29 giugno 2009, è stata oggetto di svariati commenti e interpretazioni, generalmente basati sull’estrapolazione di alcuni passi, piuttosto che sulla lettura complessiva del documento.
In realtà il primo canone dell’ermeneutica stabilisce che i passi controversi di un testo vanno interpretati alla luce del suo insieme.
Ciò è ancora più vero per i documenti del Magistero pontificio, che devono essere interpretati alla luce della tradizione, e non della sua negazione.
È in questa prospettiva che va letta l’enciclica di Benedetto XVI sulla dottrina sociale, che ripropone il tradizionale primato della carità sulla giustizia, messo in discussione nel 1967 in occasione dalla Popolorum Progressio di Paolo VI.
La Teologia della Liberazione che si affermò negli anni successivi fu una delle espressioni più radicali di questa immersione del Regno di Dio nella storia umana in nome dei principi secolarizzati di “Pace e Giustizia”.
Il Papa afferma ora con chiarezza che «la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa» (n. 2) e costituisce «il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici».
È importante notare come la carità a cui si richiama Benedetto XVI si radica nella verità, perché «un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali» (n.4). 
La dottrina sociale della Chiesa è dunque «Caritas in veritate in re sociali»: annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società.
Tale dottrina «è servizio della carità, ma nella verità» (n.5).
«Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il suo contrario» (n.3).
Anche la giustizia è naturalmente presente nel documento pontificio. Essa non solo non è una via alternativa o parallela alla carità, ma è inseparabile da essa (n.6).
Tuttavia «La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all’altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare» (n.6).
In questo senso, al concetto di carità si collega quello di dono. «La carità è amore ricevuto e donato» (n.5).
Nella giustizia rendiamo al prossimo ciò che è suo, mentre nella carità gli doniamo ciò che è nostro.
Nei confronti dell’enciclica di Paolo VI, Benedetto XVI ha una posizione analoga a quella assunta nei confronti del Concilio Vaticano II: essa va recuperata interpretandola alla luce della Tradizione. Il Papa sottolinea come la Populorum progressio è in grado di parlare ancora a noi, solo se «inserita nella grande corrente della Tradizione» (n.12).
Per comprendere il significato e il ruolo dello sviluppo di cui parlava Paolo VI, «il corretto punto di vista, dunque, è quello della Tradizione della fede apostolica, patrimonio antico e nuovo, fuori del quale la Populorum progressio sarebbe un documento senza radici e le questioni dello sviluppo si ridurrebbero unicamente a dati sociologici» (n.10).
L’enciclica di Benedetto XVI si richiama apertamente alla Humanae Vitae (1968) dello stesso Paolo VI affermando che i problemi toccati in quest’ultimo importante documento non riguardano la morale meramente individuale, ma concernono i «forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale» (n.15).
Il Papa è consapevole del fatto che l’incremento demografico non produce povertà, ma ricchezza. L’apertura moralmente responsabile alla vita è dunque una ricchezza sociale ed economica (n.44) ed è al centro del vero sviluppo (n.28).
Per questo gli Stati sono stati chiamati a varare politiche che promuovano la centralità e l’integrità della famiglia, «fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società» (n.44).
Benedetto XVI sottolinea quindi il valore positivo del mercato e dell’impresa, che però deve essere fortemente ancorata all’etica. È certamente vero che il mercato può essere orientato in modo negativo, perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso, ma questa non è la sua natura (n.36).
Il mercato è uno strumento: ciò che deve essere chiamato in causa non è esso, ma l’uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale (n.36).
Rispondere alle esigenze morali più profonde della persona ha anche importanti e benefiche ricadute sul piano economico. «L’economia infatti ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento»; non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona (n.45).
Per molti economisti la difesa della libertà economica si unisce con una assoluta libertà in campo morale. In campo liberale, ad esempio, molti sono a favore della liberalizzazione della droga, dell’aborto e di ogni sperimentazione nel campo della bioetica.
Per chiarire bene questo punto, Benedetto XVI afferma che «la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica» (n.75) nel senso che essa implica «il modo stesso di concepire la vita umana, minacciata dalle tecniche di manipolazione genetica e dalla “mens eutanasica”. Non si possono minimizzare – egli afferma – gli scenari inquietanti per il futuro dell’uomo e i potenti strumenti che la cultura della morte ha a disposizione» (n. 75).
Infine un’affermazione ricca di profonde conseguenze: Dio deve trovare un posto «anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica» (n.56). «Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia» (n. 78).
Su questa base metafisica si fonda la dottrina sociale della Chiesa, che a sua volta fa parte della sua filosofia morale. Il rispetto della legge morale e sociale che la Chiesa custodisce risolverebbe tutti i problemi che oggi affliggono l’umanità.
Si tratta di princìpi basilari che per molti anni erano stati accantonati ed è estremamente importante che Benedetto XVI ne ribadisca oggi l’attualità.
© Copyright (Radici Cristiane n. 47 - Ago/Set 2009).


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